Cassazione Civile – Sezioni Unite, 17 febbraio 1995, n. 1712
Nei debiti di valore, come in quelli di risarcimento, l’equivalente pecuniario rivalutato soddisfa il credito per il bene perduto ma non anche il mancato godimento della utilità che avrebbe potuto dare il bene, a rimpiazzare le quali, tra gli altri criteri presuntivi ed equitativi, può soccorrere la corresponsione di interessi. detti interessi, il cui tasso non deve essere necessariamente quello legale, vanno calcolati, anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata nell’arco del ritardo.
La Corte di Cassazione torna sul tema dei debiti di valore nelle obbligazioni pecuniarie e del rapporto intrattenuto da tale forma di debiti con l’obbligazione degli interessi e con la rivalutazione monetaria. Si trattava, nel caso di specie, di un tipico debito di valore a carico dell’Amministrazione statale per avere ordinato la demolizione di un edificio pericolante, e ciò in assenza dei presupposti di legittimità del provvedimento. Il danno subito dal proprietario dell’immobile era costituito dal valore del bene e proprio tale valore doveva reintegrare l’obbligazione di risarcimento gravante sull’Amministrazione. A tale forma di danno (danno emergente) doveva aggiungersi il corrispettivo del mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene predetto (lucro cessante).
Ne esce confermata in primo luogo la tesi che il debito di valore, a differenza di quello di valuta, non costituisce una particolare categoria di debito pecuniario ma una figura pretoria che deve consentire per debiti aventi causa diversa dalla dazione di somme di denaro che la liquidazione di denaro tempore solutionis sia esattamente commisurata a tale causa. Nella sentenza in epigrafe si fa riferimento al debito di valore quale “categoria che il diritto giurisprudenziale ha creato da alcuni decenni”. In altra precedente statuizione si aveva riguardo all’origine empirica e casistica del debito di valore che continua a dimostrare una notevole capacità espansiva, legittimandosi sul piano dell’effettività giurisprudenziale (Cass. 20 giugno 1990, n. 6209).
La compatibilità dell’obbligazione di interessi con il debito di valore è un capitolo tormentato del tema che ci occupa. L’obbligazione degli interessi nasce quale debito accessorio dell’obbligazione pecuniaria, strettamente incollato alla stessa. L’obbligazione di interessi trova collocazione più nella sede della proprietà , con riguardo ai frutti civili delle cose che non in quella delle obbligazioni e dei contratti. Si spiega in tal modo la difficile convivenza di una regola, come quella codificata all’art. 1282, e alla cui stregua tutti i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscono diversamente e l’art. 1224 che tiene fermo all’opposto, il principio degli interessi da mora.
Con riguardo ai debiti di valore il diritto giurisprudenziale ha coniato gli interessi compensativi, destinati a compensare il creditore del ritardo con cui le somme vengono corrisposte. La dottrina non ha fatto buon viso alla categoria degli interessi compensativi, perché ritenuta spuria mentre nessun ostacolo ha ravvisato nell’addossare anche al debitore da risarcimento la responsabilità da ritardo giacché, trattandosi di fatto illecito, esso dovrà ritenersi in mora a far tempo dal fatto illecito e cioè nei termini del pagamento di interessi moratori.
Ma più recenti passi indietro della giurisprudenza hanno avuto cura di meglio correggere il tiro, criticando la formula meramente equitativa dell’interesse compensativo per recuperare quella del rimedio contro il ritardo, e cioè quale rimedio contro una parte di danno autonoma e diversa rispetto a quella costituita dal danno emergente. In questo filone si colloca anche la sentenza che qui si commenta, anche se essa tenta una felice mediazione linguistica nei termini di una compensazione del ritardo, il che dovrebbe avvertire che, tra i presupposti di esso, non vi ha la normale imputabilità . Di qui resta ferma l’inapplicabilità ai debiti di valore del rimedio di cui all’art. 1224.
Negli indirizzi segnalati si dà per scontato che, per i debiti di valore, possa esservi cumulabilità tra la rivalutazione del debito e gli interessi. L’aver ribadito che sia l’una che gli altri rispondono a diverse funzioni, l’una al risarcimento del danno emergente, gli altri a quello del lucro cessante, è il migliore argomento in favore di tale cumulabilità .