L’art. 1 del Trattato sull’Unione europea dispone:

Con il presente trattato, le Alte Parti Contraenti istituiscono tra loro un’Unione europea, in appresso denominata “Unione”.

Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini.

L’Unione è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato. Essa ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli.

L’Unione è distinta dalle Comunità, anche se si fonda su di esse. La differenza è data dalle ulteriori forme di cooperazione create dal trattato di Maastricht che vengono definite integrative delle Comunità europee (le quali, almeno per il momento, non vengono assorbite dall’Unione; non è prevista neppure la fusione dei trattati istitutivi).

Questo stato di cose è destinato a cambiare con l’entrata in vigore della Convenzione/Costituzione:

Le ulteriori forme di cooperazione riguardano la politica estera e di sicurezza comune (P.E.S.C.) disciplinata dal titolo V, la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (C.G.A.I) disciplinata dal titolo VI, nonché la politica monetaria. Mentre quest’ultima è stata ricondotta al sistema CE, la P.E.S.C. e la C.G.A.I insieme alle tre Comunità (riconsiderate unitariamente) formano i tre “pilastri” dell’Unione (la C.G.A.I. è stata ricondotta, per una certa parte, nell’ambito CE con il Trattato di Amsterdam).

Ai pilastri l’art. 3 aggiunge – nella visualizzazione di un tempio greco – un «frontone» comune dato da «un quadro istituzionale unico che assicura la coerenza e la continuità delle azioni svolte per il perseguimento degli obiettivi dell’Unione». Il quadro istituzionale è costituito (art. 5) dalle cinque «istituzioni» comunitarie (Parlamento europeo, Consiglio, Commissione, Corte di giustizia, Corte dei conti), considerate nelle funzioni che esercitano in base ai trattati comunitari, più il Consiglio europeo che «dà all’Unione l’impulso necessario al suo sviluppo» (art. 4).

I «tipi legali» che si offrono all’attenzione nel valutare l’Unione sono lo Stato federale e la Confederazione.

Lo Stato federale costituisce uno schema che ha ricevuto e riceve realizzazioni molto differenti, tanto che si è detto che non ne esiste un tipo uniforme, caratterizzato da un profilo definito.

Si deve concedere che allo stato attuale dell’integrazione europea, fa difetto quello che è il suo dato prevalente, cioè l’ente centrale che ha il monopolio del potere sovrano e può disporre circa le competenze dei singoli membri (Kompetenz-Kompetenz).

Fa difetto, ugualmente, un territorio oggetto di signoria esclusiva dell’Unione europea. Per contro la cittadinanza della federazione – elemento imprescindibile di questo tipo di ente – ha un corrispondente nella cittadinanza dell’Unione europea. A ciò si aggiunga la condotta della politica estera, essa pure funzione tipica della federazione

Vi è però da osservare che in confronto con gli Stati federali, la Comunità europea ha dato luogo ad un «federalismo al contrario», dal momento che mentre gli Stati federali si affermano nelle materie – come la difesa, le relazioni esterne, la moneta – che costituiscono l’essenza della sovranità, la Comunità si è affermata come ente regolatore di settori che interessano direttamente la società civile; commercio, agricoltura, siderurgia, trasporti. Successivamente, l’azione è stata estesa, escludendosi peraltro l’armonizzazione e fissando la regola dell’unanimità anche per le raccomandazioni, a materie come l’istruzione (art. 149), la formazione professionale (art. 150) la cultura, la sanità pubblica (art. 152).

Nello stesso tempo e sin dai suoi inizi, come abbiamo visto, la Comunità è stata caratterizzata da complesse normative «centralizzate» tendenti a realizzare l’eguaglianza di trattamento dei fattori della produzione nello scambio intracomunitario.

Rimane però incontestabile il fatto, e ciò parla contro l’adozione dello schema «federale», che la Comunità/Unione europea manca dei mezzi e delle risorse necessari ad un sistema completo di gestione degli affari pubblici: mancano i mezzi giuridici perché l’applicazione ed il controllo giudiziario del diritto comunitario appartengono per il 90% all’amministrazione ed ai giudici nazionali; mancano le risorse umane perché il totale degli agenti della Comunità raggiunge soltanto il numero degli agenti di una media metropoli europea come Milano; mancano le risorse finanziarie perché il budget della Comunità rappresenta solo l’1,13% del prodotto interno lordo degli Stati membri (tuttavia è superiore al bilancio di molti degli Stati membri!) e le spese sono per l’85% gestite direttamente dagli Stati membri e da essi versate ai beneficiari.

Riguardo all’altro possibile schema del federalismo, la confederazione, gli elementi di analogia risultano più evidenti dal momento che elemento essenziale di tale unione venne considerata, sin dagli studi iniziali dedicati al fenomeno da G. Jellinek, l’esistenza di un’unione politica duratura avente come scopo almeno la difesa comune. Tuttavia la logica di sviluppo che determina il passaggio dalla confederazione allo Stato federale (ne sono esempi notissimi e indiscussi gli Stati Uniti e la Svizzera) appare smentita dal processo evolutivo della Comunità europea il quale è tutto nel segno di una diminuzione della sovranazionalità.

Anche la struttura organica della Comunità – e oggi dell’Unione – dà prova di un’ambiguità di fondo. Con il progredire dell’unificazione, si è accresciuto il potere legislativo del Consiglio (pur limitato dal nuovo ruolo attribuito al Parlamento) e si sono accresciuti anche i suoi poteri di carattere esecutivo. Ciò vale anche per le competenze delle quali è previsto un ampliamento nel corso degli anni a venire (vale a dire l’Unione economica e monetaria, la cooperazione di polizia in materia penale e la politica estera, la sicurezza e la difesa). Gli autori del Trattato non hanno inteso attribuirle alla Commissione nonostante questa aspiri a porsi come il principale organo «esecutivo».

Non ha scopo, d’altra parte, insistere sull’analogia dell’UE con l’uno o l’altro dei due tipi che di solito vengono richiamati e che abbiamo richiamato noi stessi. Occorre tener presente che né lo Stato federale né la confederazione sono fattispecie costruite dal diritto internazionale con una precisa definizione degli elementi costitutivi e delle conseguenze che ne discendono sul piano internazionale (come invece avviene per lo Stato e, in misura minore, per le organizzazioni internazionali nonché per soggetti precari come gli enti insurrezionali). Per quanto concerne, poi, l’aspetto interno, tanto nella federazione come nella confederazione valgono soltanto le norme esplicitamente poste, e con esse la ripartizione di competenze stabilita nell’atto fondamentale che instaura l’ordinamento giuridico dell’Unione.

L’assimilazione all’uno o all’altro dei due modelli appare quindi riduttiva. L’UE, e già prima di essa le Comunità europee, sono diverse dalla confederazione e dallo Stato federale, ma possiedono già «titoli di nobiltà» non inferiori a quelli dei modelli ai quali le si vorrebbe accostare.

Dall’ordinamento internazionale, creazione dei popoli (o meglio dei potentati) europei, teatro di infiniti conflitti tra di loro, si è passati all’elaborazione di un modello di unione assolutamente originale. Questo è avvenuto proprio nel momento in cui il fenomeno della globalizzazione (nell’economia, nelle comunicazioni, nei trasporti) si è manifestato in maniera irreversibile modificando le basi stesse della società internazionale; rendendo con ciò necessaria la messa a punto di schemi organizzativi completamente nuovi.

Non si potrebbero confrontare il mondo e la società internazionale di oggi con le condizioni che esistevano nell’epoca in cui gli schemi federali o confederali si sono affermati: una società statica, un’economia prevalentemente agricola, rapporti monetari fondati sul valore esclusivo dell’oro.

Non serve quindi riferirsi in maniera statica agli schemi giuridici elaborati dalle relazioni internazionali del passato; non serve porre in rilievo la mancanza di qualche elemento essenziale di quegli schemi.

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