Troppo spesso, quando si parla della scuola e dei suoi problemi, si dimentica che essa è inserita in una società in trasformazione rapidissima, di cui è in larga misura lo specchio. La crisi del sistema scolastico è il riflesso di quella che, a vari livelli, coinvolge tutti noi.

Anche nei paesi in cui la scuola svolge al meglio i propri compiti, ci si chiede infatti se essa non si basi su un modello superato, soprattutto dopo l’impetuoso affacciarsi dei nuovi mezzi di comunicazione, che ha profondamente modificato il modo stesso di trasmettere la conoscenza.

In realtà la nostra epoca ha messo in moto alcuni processi che rendono problematico il concetto stesso di educazione. È dunque da qui che bisogna partire, se si vuole affrontare seriamente il problema del ruolo educativo della scuola.

Il clima culturale in cui la scuola opera

La modernità, pur nelle contraddizioni di cui era portatrice (il lungo permanere della schiavitù e il ruolo subordinato delle donne ne sono alcuni esempi), poteva fare riferimento a un orizzonte di valori ampiamente condivisi, da cui le scelte dei singoli venivano chiaramente legittimate o sanzionate.

Questa visione sostanzialmente unitaria manca nella postmodernità, caratterizzata dalla frammentazione, dalla complessità e dalla prevalenza della dimensione individuale. Il desiderio di autorealizzazione conta più del bene comune; i legami tradizionali si allentano; tutto si fa più precario e incerto.

Nella nostra società si sta assistendo a una sorta di eclissi dell’educazione. Si esalta la libertà dell’individuo di determinare in piena autonomia il proprio cammino, di rielaborare la propria identità, senza doversi confrontare con uno standard prestabilito di normalità.

Nel passato tra le generazioni esisteva un passaggio di valori e tradizioni consolidati. Oggi invece questa trasmissione è interrotta e avviene soltanto per poche cose. Insomma è saltata quella solidarietà intergenerazionale, che nell’educazione aveva il suo momento più alto. Viviamo in una postmodernità caratterizzata dalla frammentazione, dalla complessità e dalla prevalenza della dimensione individuale.

Il desiderio di autorealizzazione conta più del bene comune e il corpo sociale si è trasformato in una somma di particolarismi autoreferenziali. E tutto questo non può non pesare su una realtà, come la scuola, strutturalmente basata sulla dimensione comunitaria. Non bisogna mai dimenticare che l’educazione, intesa nel senso più comprende tre aspetti: educazione, formazione e istruzione.

Spesso si assiste al potenziamento di solo uno di questi aspetti. E questo crea dello squilibrio nell’azione educativa. Infatti si può scivolare in una scuola che avrebbe senso solo in quanto utile ai processi economici e produttivi. Ma si può cadere anche in una finalità che «rischia di ridursi ad apprendere per apprendere».

O peggio ancora trasformare progressivamente la scuola in una sorta di supermercato, «in cui ognuno va a prendere quello che gli serve, in funzione del proprio progetto di autorealizzazione, senza però cercarvi, ovviamente le indicazioni esistenziali per mettere a punto il progetto di vita». La stessa figura del docente subisce un declassamento, non solo sociale, ma anche funzionale: da figura capaci di educare al senso critico le giovani generazioni, a semplici impiegati, facilitatori culturali o addestratori.

I giovani di oggi continuano a cercare modelli di riferimento tra gli adulti, a guardare agli adulti. Sono forse gli adulti che hanno smarrito la propria responsabilità di educatori per stanchezza, sfiducia, senso di impotenza, malinteso rispetto per la libertà dei ragazzi.

Il compito e l’autorità dei maestri

Poiché la verità non è assoluta e non ha a che fare esclusivamente con la dimensione intellettuale, un insegnante non può limitarsi a trasmettere dei saperi ma deve saper infondere nei discenti un senso critico. In ciò consiste l’autorità del maestro, che non è semplicemente la mera capacità di esercitare una coercizione, ma consiste in un appello rivolto a qualcuno affinché questi ascolti e spontaneamente ubbidisca. Oggi c’è una sostanziale carenza di figure autorevoli che sappiano instaurare con le giovani un rapporto di reciprocità, anche se non bisogna dimenticare che il compito educativo non spetta esclusivamente alla scuola, ma principalmente alla famiglia con cui essa deve costantemente collaborare.

La riunificazione del soggetto

È pur vero che ormai nella nostra società non ci sono più i bambini. Sono molto più precoci dei loro coetanei di trent’anni fa. È come se fosse venuta meno una condizione che consentiva un approccio graduale alla realtà, proporzionandolo allo sviluppo complessivo della personalità. La possibile via da perseguire per tentare l’inversione di rotta è l’autonomia scolastica, che consentirebbe la realizzazione di vere e proprie comunità educanti, in grado di ridefinire incessantemente, attraverso un libero e responsabile confronto interno, le rispettive identità culturali e pedagogiche. L’autonomia  consente alla scuola di mettersi in rapporto con le persone che vivono in un territorio.

 È una risposta educativa costruita insieme, all’interno di una società sempre più differenziata. Insomma l’autonomia può essere inteso come uno strumento attraverso il quale responsabilizzare i soggetti dell’educazione. In questo contesto può trovare soluzione anche la questione della scuola statale e paritaria.

 Rivendicare la libertà di educazione non è una battaglia confessionale, bensì una battaglia per il pluralismo delle istituzioni e per la stessa laicità. L’autonomia è una risposta differenziata alle esigenze dei diversi territori, pur con uno quadro unitario. Una risposta differenziata, che comunque rappresenta un patrimonio della scuola, così come la presenza degli studenti stranieri, attraverso cui valorizzare le differenti espressioni dell’unica umanità. Di certo una via da perseguire.

Scuola pubblica statale e non statale- l’importanza della diversità

 Il conflitto ricorrente tra scuola pubblica e scuola privata ha le sue radici in una visione distorta del pubblico, che viene identificato con lo Stato: di contro, tutto ciò che non si colloca all’interno della macchina burocratica dello Stato è semplicemente privato e quindi destinato a perseguire finalità particolaristiche. Invece oggi ogni istituto, sia pubblico che privato, è chiamato ad elaborare una propria linea culturale ed educativa originale perseguendo però la prospettiva del bene comune.

Oggi la scuola deve fare i conti con fenomeni di pluralismo etnico e culturale, derivanti soprattutto dall’immigrazione. L’educazione interculturale si presenta così un compito formativo centrale destinato a costruire la convivenza attraverso la diversità e l’integrazione dei diversi valori. Spesso l’integrazione di una cultura diversa è stata percepita come un’emergenza, mentre questo è semplicemente un compito che la scuola deve assolvere, essendo il luogo deputato alla maturazione e allo sviluppo della capacità critica.

La sfida dell’interculturalità riguarda non solo i contenuti, ma anche le relazioni tra individui; le culture devono essere giudicate relativamente al contesto in cui nascono, si sviluppano e si esprimono ma non isolate nel loro cosmo autonomo. Le diversità culturali vanno comprese nella fondamentale prospettiva dell’unità del genere umano: in quest’ottica la scuola, incentrata sulla persona, deve accogliere e favorire l’integrazione di ogni alunno, qualunque sia la sua provenienza etnica o culturale.

In un mondo in cui la globalizzazione sta divorando le culture, le identità religiose e le tradizioni di interi popoli, i fondamentalismi sono la risposta sbagliata al problema che invece dovrebbe essere risolto nella riscoperta della nostra dimensione fraterna, ritrovando l’amore per l’intero genere umano.

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