All’inizio del secolo III «lo spirito della giurisprudenza romana non mori ma migrò in un altro corpo».
Il ruolo dominante dell’evoluzione del diritto fu assunto dalla legislazione imperiale, intensificatasi soprattutto dall’età di Diocleziano in poi (il Codice Teodosiano del 438 e il Codice Giustinianeo del 534), nonché altre minori raccolte.
I protagonisti di questa fase storica sono divenuti gli anonimi funzionari degli uffici imperiali, cui spettava il compito di redigere i testi normativi che in nome dell’imperatore raggiungevano le diverse parti del vastissimo territorio dell’impero.
All’articolata tipologia normativa dell’Alto Impero si è sostituta una più semplice distinzione tra due categorie fondamentali di costituzioni.
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Da un lato vi sono le leggi di validità generale (leges generale, edicta), dirette circolarmente «ad provinciales» o «ad populum», o spesso anche a singoli funzionari, elaborate dall’ufficio centrale dello scrinium ab epistulis sotto il controllo del questore del sacro palazzo: il Codice Teodosiano raccoglie appunto le costituzioni generali dall’età di Costantino a quella di Teodosio II (anni 312-438), mentre le più importanti del periodo successivo (anni 439-534) sono conservate nel Codice di Giustiniano.
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D’altro lato vi sono i rescritti, elaborati dallo scrinium a libellis e consistenti in pronunce relative a casi concreti, prospettati
- sia da funzionari incerti sulla decisione da prendere (procedimento per relationem),
- sia da privati che si rivolgevano con suppliche (preces) direttamente alla sede imperiale.
Le costituzioni del Codice giustinianeo anteriori all’età di Costantino appartengono appunto alla categoria dei rescritti.
In età costantiniana fu sancita la nullità dei rescritti contra ius, cioè di quei rescritti che contenessero regole di diritto contrastanti con norme preesistenti.
Nel V secolo, in Occidente, le prescrizioni di Valentiniano (anno 426) :
l’imperatore intervenne per vietare che i giudici estendessero surrettiziamente la portata di un rescritto per ribadire, pur attenuandolo, il principio della nullità dei rescritti «contra ius elicita», per impedire l’applicazione di rescritti basati su una non veritiera esposizione dei fatti da parte dell’impetrante.
Dopo l’estensione a tutto l’impero della cittadinanza romana in virtù della costituzione di Caracalla dell’anno 212 vi era l’esigenza di modificare via via la disciplina dell’uno o dell’altro istituto giuridico, di semplificare e rendere uniforme il sistema normativo nel suo quotidiano funzionamento.
La fitta produzione di rescritti nell’età di Diocleziano appare spesso ispirata allo scopo di stabilizzare l’applicazione del diritto preesistente e di facilitarne l’accoglimento, specie da parte dei provinciali.
L’opera legislativa di Costantino, vasta e multiforme, non si lascia facilmente ridurre ad una formula unitaria, ispirata com’è a principi assai diversi tra loro.
Dopo Costantino, e definitivamente dalla morte di Teodosio 1 nel 395, l’impero venne diviso in due parti anche sotto il profilo della legislazione.
L’impero possedeva ormai due cancellerie distinte, e soprattutto presentava, nelle due parti, esigenze e soluzioni legislative non coincidenti.
Se già i rescritti predioclezianei e dioclezianei erano stati riuniti nei perduti Codici Gregoriano ed Ermogeniano la grande compilazione teodosiana si colloca su un diverso piano.
Dopo aver fallito un primo, ambizioso tentativo di codificazione, Teodosio II promulgava nel 438, come si è ricordato, una vasta raccolta di leggi generali emanate tanto in oriente quanto in occidente dal periodo costantiniano sino a quell’anno.
Il Codice teodosiano, nato a Costantinopoli, fu esteso sùbito anche alla parte occidentale, ove Valentiniano III, genero di Teodosio II, lo accolse «per affezione filiale».
Ma l’unità legislativa fra le due parti dell’impero tornò quasi subito ad interrompersi. Quasi nulla, invece, passò in oriente dall’occidente, ove pure Valentiniano emanava, dopo il 438, non poche costituzioni importanti.