L’impero romano avviato alla decadenza è stato governato da un insieme di istituzioni pubbliche per molti aspetti nuove rispetto l’età precedente, destinate a ricevere, in occidente, gli urti che provocarono la caduta finale e a sopravvivere invece a lungo, pur trasformate, nell’oriente bizantino.
Al vertice, la persona dell’imperatore veniva ormai considerata come la fonte di ogni potere ed esaltata secondo forme che si richiamavano ad antichi modelli orientali.
Nuovo era il sistema escogitato per la successione al trono: la tetrarchia
Il comando militare era stato separato dall’amministrazione civile sia al centro che nelle province.
Si superava così il principio tradizionale romano dell’indivisibilità dell’imperium (civile e militare insieme), per evitare che l’esercito controllasse di fatto lo Stato.
Per quanto riguardava la Gerarchia militare:
Nell’esercito, i comandanti centrali della fanteria e della cavalleria erano sovraordinati ai duces dislocati nelle diverse parti dell’impero:
ad unità stanziali, presenti soprattutto nelle zone di con- fine (limitanei) si aggiungevano unità mobili che si spostavano con l’imperatore (praesentales).
Mentre per la Gerarchia civile:
Una preziosa fonte del V secolo, la Notitia dignitatum,
elencava 114 province (metà in oriente, metà in occidente), rette da governatori di nomina imperiale, i quali esercitavano competenze civili, giudiziarie e fiscali. All’interno delle province, le città erano governate da oligarchie locali (curiae) i cui membri, nominati per cooptazione, erano solidalmente responsabili per i tributi e i debiti della città; alle magistrature tradizionali si aggiunsero il curator e poi il defensor civítatis, nominati dapprima dall’imperatore, divenuti in seguito cariche elettive.
Le province erano state raggruppate da Diocleziano in 12 diocesi rette da vicarii.
A loro volta le diocesi formavano le prefetture, due in Occidente e due in Oriente rette da altrettanti prefetti al pretorio.
Era possibile ricorrere direttamente dai governatori ai prefetti saltando i vicarii, ovvero dai vicarii alla corte imperiale saltando i prefetti.
La Gerarchia delle cariche finanziarie era bipartita nelle due strutture della res privata immobili dello e delle sacrae largitiones.
Gli imperatori erano affiancati da un comitatus composto di alcuni altissimi funzionari; e inoltre da uno stuolo di diverse migliaia di impiegati minori.
Il responsabile delle costituzioni imperiali e delle questioni legali (quaestor sacri palatii), il capo della cancelleria dell’impero (magister offíciorum) costituivano un consiglio (consistorium) dotato di molteplici funzioni.
Le cariche venivano conferite a individui di diversa e talora anche modesta, estrazione sociale, spesso di formazione giuridica e forense, attirati dal miraggio della carriera e della ricchezza o desiderosi di sottrarsi ai vincoli gravanti sulle oligarchie locali.
L’avvicendamento era rapido, con una durata nella stessa carica di appena uno o due anni; il nominato si rifaceva non di rado sui suoi amministrati per recuperare quanto aveva dovuto anticipare per «comprare» la carica (le raccomandazioni – suffragia – costituivano una prassi quasi ufficiale).
Fu proprio nell’età del declino che l’impero fu visto come lo strumento della pace universale, il risultato del propagarsi della parola di Cristo.
Prudenzio scriveva: “Sinora la terra intera da oriente a occidente è stata straziata da una guerra continua. Per reprimere questa follia il Signore insegnò alle nazioni ad ubbidire alle medesime leggi e a diventare tutte romane”.