Il modello ideale di funzionamento del mercato teorizzato dagli economisti è la cosiddetta concorrenza perfetta, che presenta le seguenti caratteristiche:
contemporanea presenza sul mercato di una pluralità di operatori economici in competizione fra loro, ma in modo che nessuna di loro sia in grado di condizionare il prezzo delle merci;
piena mobilità dei fattori produttivi che assicuri il pronto adeguamento della produzione alle richieste del mercato;
piena mobilità della domanda da parte dei consumatori, liberi di orientare le proprie scelte verso i prodotti più convenienti per qualità e prezzo;
assenza di ostacoli all’ingresso di nuovi operatori in ogni settore della produzione e della distribuzione, nonché di accordi fra le imprese che falsino la libertà di competizione economica.
Questo modello di mercato è ideale e perfetto in quanto la concorrenza:
spinge verso una riduzione sia dei costi di produzione sia dei prezzi di vendita;
assicura la naturale eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive;
stimola il progresso tecnologico e l’accrescimento dell’efficacia produttiva delle imprese;
determina la più razionale utilizzazione delle risorse limitate e il raggiungimento del grado più elevato possibile di benessere economico e sociale.
Ma la concorrenza perfetta è solo un modello ideale e teorico, mentre in realtà vari fattori portano il mercato verso una situazione di oligopolio, cioè ad un mercato caratterizzato dal controllo dell’offerta da parte di poche grandi imprese.
Molto spesso gli imprenditori stipulano fra loro dei patti, dette intese, volti a limitare la reciproca concorrenza.
Vi sono delle volte in cui tutta l’offerta di un dato prodotto è controllata da una sola impresa o da poche imprese coalizzate, detto monopolio di fatto.
Il riconoscimento legislativo della libertà di iniziativa economica privata e della conseguente libertà di concorrenza , art. 41 Cost., è presupposto necessario ma non sufficiente perché si instauri un regime oggettivo di mercato caratterizzato da un sufficiente grado di concorrenza effettiva.
Necessaria è anche una regolamentazione giuridica della concorrenza che impedisca situazioni di monopolio o quasi – monopolio.
L’art. 2595 dispone che la concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell’economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge (e dalle norme corporative), e l’art. 41 Cost. al 2° comma ribadisce che l’iniziativa economica privata è si libera , ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale.
Perciò, se il funzionamento concorrenziale del mercato tendenzialmente coincide con l’interesse collettivo, situazioni oggettive e/o obiettivi di politica economica e sociale dei pubblici poteri possono in concreto imporre limitazioni legislative vistose ed anche radicali della libertà di concorrenza.
La ricerca di un punto di equilibrio fra modello teorico ed utopico della piena e perfetta concorrenza e la realtà operativa, costituisce la linea direttiva che ispira la disciplina della concorrenza nei sistemi giuridici ad economia libera, detta concorrenza sostenibile.
Su questo principio guida della libertà di concorrenza, il legislatore italiano:
consente limitazioni legali della stessa per fini di utilità sociale e la creazione di monopoli legali in specifici settori di interesse generale;
ricollega alla stipulazione di determinati contratti divieti di concorrenza fra le parti, finalizzati al corretto svolgimento del rapporto cui accedono ed alla tutela degli interessi patrimoniali del beneficiario del divieto stesso;
consente limitazioni negoziali della concorrenza, ma ne subordina nel contempo la validità al rispetto di condizioni che non comportino un radicale sacrificio della libertà di iniziativa economica attuale e futura, art. 2596 ;
assicura l’ordinato e corretto svolgimento della concorrenza attraverso la repressione degli atti di concorrenza sleale, artt. 2598-2601.
Per lungo tempo il sistema italiano della concorrenza si era contraddistinto per una vistosa lacuna: la mancanza di una normativa antimonopolistica, finalizzata al controllo dei fenomeni che possono determinare posizioni di prepotere economico sul mercato ed alla repressione degli abusi che esse posso generare.
A partire dagli anni cinquanta la lacuna fu parzialmente colmata dalla diretta applicabilità nel nostro ordinamento della disciplina antitrust, dettata dai Trattati della CEE. Tale normativa però consentiva di colpire solo le pratiche che possono pregiudicare il regime concorrenziale del mercato comune europeo, non quelle che incidono esclusivamente sul mercato italiano.
L’esigenza di colmare tale lacuna è stato colmato dalla legge n. 287 del 10-10-1990, recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato.
Tale legge ha infatti introdotto una disciplina antimonopolistica nazionale a carattere generale, che si affianca a quella comunitaria ed integra la normativa specifica emanata precedentemente per i settori dell’editoria (legge n. 416/1981) e quello radiotelevisivo (legge n. 223/1990, oggi sostituito dal Testo Unico della radiotelevisione).