È nel contesto delle esigenze nascenti dalla tutela giurisdizionale per i rapporti commerciali del traffico internazionale e per quelli degli stranieri residenti per tali motivi in Roma che si vengono ad originare le forme che, nel corso di uno sviluppo durato circa 3 secoli, avrebbero dato luogo alla procedura per formulas, che diventerà l’unico processo ordinario dei cives romani, prendendo il posto delle legis actiones anche per la tutela giurisdizionale delle situazioni disciplinate dal ius civile.
Un momento molto importante nella storia di questa forma processuale è rappresentato dalla creazione, nel 242 a.C., di un 2° posto di pretore, destinato principalmente ad esercitare la iurisdictio peregrina, noto come praetor peregrinus, dovuta all’elevato numero di processi in cui almeno una delle parti era straniera, i quali non potevano effettuarsi nelle forme delle legis actiones; atraverso mezzi coercitivi il pretore garantiva lo svolgimento del processo e l’esecuzione della sentenza. Si può avanzare l’ipotesi che questi processi avessero delle forme analoghe a quelle del successivo processo formulare.
La caratteristica essenziale del processo formulare, che conserva la tipica bipartizione, è di fondarsi su istruzioni date dal magistrato giudice privato sul modo in cui quest’ultimo doveva risolvere la controversia: tali istruzioni rappresentavano il contenuto della forma, che veniva concordata fra le parti e il magistrato nella fase in iure del processo, e su cui le parti stesse, con l’autorizzazione del pretore, esprimevano il loro consenso nella litiscontestatio (atto che chiudeva la fase in iure).
L’accrescersi della frequenza dei processi relativi alla iurisdictio peregrina portò all’introduzione dell’editto giurisdizionale del pretore. In un primo momento si dovette procedere all’individuazione di schemi di istruzioni-tipo da applicare in fattispecie analoghe. Da ciò si passò all’editto vero e proprio: all’inizio dell’anno di carica, il pretore peregrino emanava un editto, in cui fissava i principi ai quali si sarebbe ispirato nell’esercizio della giurisdizione. In tale editto erano contenute le formulae, ovvero le istruzioni-tipo che il pretore prevedeva di concedere per la risoluzione delle controversie che sarebbero state portate alla sua cognizione durante l’anno di carica.
Il pretore era completamente libero nel fissare il contenuto dell’editto che emanava sulla base del proprio imperium. Rapidamente, però, si diffuse la prassi che il pretore dell’anno successivo recepisse, in grandi linee, l’editto del pretore precedente. Si formarono così un insieme di regolamentazioni che si trasmettevano sostanzialmente immutate da un pretore all’altro, il cosiddetto edictum tralaticium.
In tal modo, si venne quindi a fissare un nuovo sistema di norme giuridiche, il ius honorarium, che nasceva come il sistema di diritto da applicarsi alle controversie in cui almeno una delle parti era straniera, e si sarebbe poi esteso ai cives contrapponendosi al ius civile per tutto il periodo classico. La data in cui questa estensione avvenne, può essere approssimata nel II sec. a.C., periodo durante il quale venne pertanto introdotto il processo formulare fra cives, risultato il mondo principale con cui il pretore sopperì alle nuove esigenze che si manifestavano all’interno della società romana.
Il processo formulare, in questo periodo, è un processo interamente pretorio: il diritto onorario regole infatti le forme processuali e la disciplina sostanziale dei rapporti. Fra la metà e la fine del II secolo a.C. venne emanata la lex Aebutia che conferì al processo formulare efficacia sul piano del diritto civile. Si sostiene che questa legge conferisse effetti civili al processo formulare per le controversie fra cives su pretese fondate sul ius civile, e lo rendesse per le stesse facoltativo, creando quindi un concorso tra la procedura formulare e le legis actiones, abolite più tardi con la lex Iulia.
Agli inizi del I secolo a.C. l’editto del pretore urbano ed anche quello del pretore peregrino avevano assunto una grande importanza: su di essi si basava il ius honorarium; iniziavano inoltre a contenere anche i concepta verba delle formulae civili, entrate in concorrenza con i certa verba delle legis actiones. L’importanza dell’editto era poi collegata all’affermarsi del fenomeno dell’ edictum tralaticium.
Il magistrato rimaneva comunque libero di attenersi o meno all’editto proposto. La previsione della concessione di formulae, o di altri mezzi processuali, nell’editto non impediva al pretore di non concedere tali mezzi in una determinata fattispecie, tenendo conto delle circostanze del caso concreto. Egli inoltre poteva concedere actiones o altri mezzi giudiziari anche al di fuori dei casi previsti nell’editto. Si trattava delle cosiddette actiones decretales, fondate su un decreto del pretore, le quali si contrapponevano alle actiones edictales, previste in via generale nell’editto.
Importante, in tale ottica, fu la lex Cornelia de edictis del 67 a.C., che pose dei limiti alla discrezionalità del pretore nel ius dicere contro o al di fuori dell’editto. Tale discrezionalità doveva basarsi solo su una valutazione delle circostanze del caso concreto e doveva corrispondere a valori riconosciuti nella società.