Il fondamento giuridico della competenza giurisdizionale del princeps è controverso. Le testimonianze che le fonti sono riusciti a tramandarci fanno preferire l’opinione che individua il fondamento e insieme la giustificazione costituzionale della giurisdizione imperiale nell’autorità del princeps, ovvero nel suo prestigio, nella sua influenza, nella sua posizione di preminenza politica, che gli consentivano di esercitare tutte quelle facoltà che apparivano in qualche modo utili o necessarie all’amministrazione e al governo dello Stato.
Il princeps poteva avocare al proprio tribunale, spontaneamente o su istanza degli interessati, la cognizione, sottraendola alla competenza del giudice ordinario,
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di ipotesi delittuose non previste dalle leges publicae
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di crimini per i quali era preordinata una specifica quaestio
Sotto Claudio il fenomeno si generalizza e cominciano a porsi le basi di una progressiva affermazione del tribunale del principe quale supremo tribunale dell’impero.
I reati giudicati dal tribunale imperiale erano i più vari: crimina maiestatis, soprattutto concernenti la persona del principe, abusi dei funzionari, violazione della disciplina militare, delitti comuni nonché processi contro maghi, astrologi, indovini, quali offensori della maestà imperiale, in quanto pretendevano di rivelare con arti arcane il futuro dell’imperatore e dei membri della sua famiglia.
Il principe giudicava raramente di persona. Di solito si faceva sì da un consilium di senatori e cavalieri, che egli stesso sceglieva per ogni singolo processo nella ristretta cerchia dei suoi amici e comites. Adriano diede a tale consiglio un’organizzazione stabile, inserendovi consiglieri permanenti retribuiti, scelti tra professionisti esperti e soprattutto tra giuristi di chiara fama. Sotto Marco Aurelio furono chiamati a farne parte anche i praefecti e i capi dei principali uffici centrali dell’amministrazione.
Oltre alla giurisdizione di prima istanza, il principe aveva il potere di conoscere, in grado d’appello, delle decisioni emanate, sia in Italia che nelle province, da magistrati e funzionari da lui dipendenti, contro le quali fosse stato fatto ricorso alla sua autorità à appellatio ad Caesarem. Il fondamento di tale potere è da ricercarsi nell’autorità imperiale. Ciò induce a escludere una derivazione diretta dell’appello dalla provocatio ad populum.
L’appello potere in origine a essere rivolto soltanto al principe. Poiché tuttavia ogni giurisdizione era intesa come delegata dall’imperatore e i funzionari erano ordinati secondo un principio gerarchico, non tardò a formarsi la concezione che contro la pronuncia di un funzionario fosse possibile ricorrere a un altro funzionario di grado più elevato.
Nel corso del II secolo tale pratica andò sempre più generalizzandosi e l’appello divenne mezzo ordinario di impugnazione delle sentenze.