L’istituzione di quaestiones extra ordinem fu il mezzo attraverso il quale si poté sopperire, nel corso del II sec. a.C., alla farraginosa procedura dei iudicia populi.
Le repressioni di carattere straordinario cedettero il posto a tribunali stabili (quaestiones perpetuae), istituiti per legge e presieduti da un magistrato o da un ex magistrato, che dovevano in un primo tempo limitare, poi assorbire l’antico processo dinanzi ai comizi, e divenire l’organo ordinario della repressione criminale dell’ultima età repubblicana e dei primi tempi dell’impero.
Il movimento di riforma che doveva condurre all’instaurazione del nuovo sistema prese le mosse dalla repressione delle repetundae, cioè delle illecite appropriazioni ed estorsioni poste in essere da magistrati romani a danno di popolazioni alleate o sottoposte al dominio di Roma.
Per la persecuzione di tali abusi non esisteva in origine una via legale ben definita. Le vittime non avevano altra possibilità che quella di invocare, spesso infruttuosamente, l’intervento del senato o di rimettersi all’iniziativa dei tribuni della plebe. In genere i tribuni promuovevano l’istituzione di una quaestio extra ordinem da parte delle assemblee tribute.
Una procedura particolare fu adottata nel 171 a.C., quando una legazione delle province iberiche presentò al senato gravi doglianze per le spoliazioni subite ad opera di tre governatori senza scrupoli. Il senato ordinò al pretore Canuleio, al quale era stata assegnata la Spagna, di costituire per ciascuno degli accusati un collegio di 5 recuperatores, scelti fra i senatori, con il compito di accertare i fatti di condannare i responsabili alla restituzione di quanto estorto. I provinciali non furono autorizzati a far valere personalmente le loro ragioni, e dovettero farsi assistere da patroni romani. La causa fu aggiornata più volte, dopodiché è uno degli imputati fu assolto agli altri due si sottrassero al giudizio andando in esilio in località vicine.
La procedura adottata è indicativa dell’atteggiamento politico del senato di fronte al problema degli abusi perpetrati dai magistrati. Si trattò, difatti, di un provvedimento di natura essenzialmente politica, inteso alla tutela del prestigio dell’aristocrazia dominante più che all’effettiva salvaguardia delle popolazioni soggette.