Il processo comiziale funzionò in modo soddisfacente finché perdurarono le condizioni ambientali che lo avevano visto nascere. In seguito, specialmente in conseguenza della crescente espansione territoriale e urbana, gli inconvenienti di tale procedura divennero sempre più gravi. Le questioni portate davanti alle assemblee diventavano più complesse, e spesso richiedevano particolari cognizioni tecniche. Il meccanismo processuale era eccezionalmente prolisso, e soprattutto nel caso di crimini perpetrati su larga scala si manifestava l’esigenza di un procedimento più duttile e snello.
A partire dagli inizi del II secolo, il senato incominciò ad affidare ai consoli o ad uno dei pretori, assistiti da un consilium da essi nominato, la cognizione e la repressione di alcuni crimini di particolare gravità commessi a Roma e in Italia, che riguardo ai cittadini romani che vi erano coinvolti avrebbero dovuto dar luogo a un processo davanti ai comizi. Si trattava di reati di massa, che minacciavano la sicurezza pubblica è l’autorità dello Stato, come congiurie, associazioni per delinquere, ecc.
Il caso era portato davanti al senato, che lo esaminava e, se ne ravvisava l’opportunità, istituiva una cognizione straordinaria, dando le disposizioni relative.
I magistrati incaricati erano investiti non soltanto del compito di accertare i fatti, ma altresì del compito di pronunciare un giudizio. Essi emettevano il verdetto sotto la loro piena ed esclusiva responsabilità, e ne erano considerati gli unici autori anche se la decisione era stata raggiunta previa consultazione del consilium. Tramite la sentenza non era data possibilità di provocatio.
Il più celebre esempio di questa procedura risale al 186 a.C., in relazione a quello che fu chiamato lo «scandalo dei Baccanali». Il senato, timoroso dei gravi pericoli per l’ordine sociale e morale a cui dava origine il culto bacchico, incaricò i consoli di condurre un’inchiesta e decretò che la partecipazione al culto doveva considerarsi delitto capitale. Numerosi indiziati di entrambi i sessi, cittadini e non, furono processati e messi a morte. I comizi non ebbero alcuna parte nella repressione.
Tale modo di procedere fece insorgere qualche problema relativo alla sua costituzionalità. Difatti il senato aveva pieno diritto di istituire, senza autorizzazione del popolo, quaestiones criminali per la persecuzione di socii italici responsabili di crimini che potevano minacciare la sicurezza dello Stato. Ma poiché l’unico giudizio legittimo contro un cittadino romano accusato di un delitto capitale era quello del popolo riunito in assemblea centuriata, non poteva promuovere processi de capite nei confronti dei cives senza l’assenso dei comizi. Repressioni come quella posta in essere contro i seguaci di Bacco costituivano, dunque, dal punto di vista costituzionale, vere e proprie usurpazioni.
Quaestiones analoghe furono in seguito disposte anche dal popolo, su iniziativa di tribuni della plebe. A procedimenti di questo tipo i tribuni fecero ricorso per reprimere gli abusi perpetrati da magistrati romani a danno delle popolazioni soggette. Tali quaestiones, disposte per plebiscito, non posero mai alcun problema di legalità costituzionale, essendo istituite col voto dell’assemblea, e quindi fondate su un’espressa delega del potere repressivo da parte del popolo.