Il 53 1° Costituzione dice che: “Tutti (collegamento col principio d’uguaglianza) sono tenuti a concorrere alle pubbliche spese in ragione della loro capacità contributiva”. Viene introdotto quindi questo fondamentale principio. Questa norma non è l’affermazione costituzionale del dovere tributario, in quanto ciò si trova nel 2 Costituzione che condiziona questo dovere all’appartenenza allo stato. Con questa norma si è voluto assolutamente escludere il ricorso al tributo al fine di realizzare finalità politiche o discriminative. Ragion per cui se una norma è fondata su una valutazione non corretta della base economica del tributo, sarà sicuramente di dubbia costituzionalità, ma sarà tuttavia cogente fino alla dichiarazione di incostituzionalità, fermo restando la possibilità di attenuare gli effetti in sede di interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata. La capacità contributiva prevede l’adeguamento della fattispecie astratta ad altri indicatori di idoneità economica del soggetto chiamato a rendersi compartecipe delle pubbliche spese. Il principio discende dal principio d’uguaglianza ex 3 Costituzione La norma impone al legislatore nella costruzione della fattispecie tributaria un “principio di ragionevolezza economica del tributo” sia in senso oggettivo (da intendersi che il fatto a rilevanza tributaria deve rappresentare un fenomeno suscettibile di apprezzamento economico, dovendo esprimere un’attitudine a consentire la partecipazione ai carichi pubblici) che in senso soggettivo (nel senso che si deve verificare dalla ricchezza espressa nel fatto, la capacità del soggetto di rendersi compartecipe alle spese pubbliche). La giurisprudenza Costituzione ha individuato 2 caratteristiche fondamentali della capacità contributiva: l’effettività (connessa alle regole di formulazione della fattispecie tributaria, specie nella possibilità per il legislatore tributario di ricollegare l’esistenza di un fatto economico da tassare non alla sua dimostrazione concreta, bensì alla contestazione di un diverso fatto che sia tale però da presentare astratta relazione col fatto economico a base dell’imposizione) e l’attualità (elaborata con riferimento alle fattispecie d’imposizione retroattiva o anticipata affermando la necessità di un collegamento tra momento dell’imposizione e quello del verificarsi del fatto contemplato dalla fattispecie impositiva. Riferendosi all’imposizione retroattiva si distingue tra retroattività propria che si verifica in ogni caso in cui la norma tributaria collochi nel passato sia il presupposto economico del tributo sia gli effetti giuridici e retroattività impropria che si realizza quando la norma colloca nel passato solo il presupposto economico, attribuendo gli effetti della fattispecie ad un periodo successivo a quello dell’entrata in vigore della norma. la l. 212/2000 art 3 ha escluso la natura retroattiva delle norme tributarie (salvo i casi di interpretazione autentica delle disposizioni consentiti dall’art 1 1° della stessa legge). C’è la possibilità di derogare il principio per realizzare interessi di natura extrafiscale, ritenendosi generalmente che ciò sia possibile per lo spessore costituzionale dell’interesse che venga ad essere perseguito dal legislatore: in pratica l’interesse legislativo deve essere equiparabile con quello contenuto dal 53. Infine, non sembra possibile usare la leva fiscale per colpire comportamenti contrari alla morale, ove tali comportamenti non siano di per se espressivi di forza economica, per cui si devono esprimere perplessità sulle legittimità costituzionale di alcune misure fiscali come ad esempio “porno tax” o la “robin hood tax”.