Gli atti processuali disciplinati dagli art 121 e ss. c.p.c. si dividono in due categorie:
1) Gli atti di parte
2) Gli atti dell’ufficio giudiziario tra cui assumono particolare rilievo quelli del giudice cosiddetti Provvedimenti
Per quanto riguarda i provvedimenti va detto che l’art.131 c.p.c. dispone che la legge prescrive in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza, o decreto e che in mancanza di tali prescrizioni i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo. Interpretata letteralmente questa disposizione ci condurrebbe alla conseguenza:
1) che normalmente il giudice provvede in forme tipiche
2) che eccezionalmente in mancanza di prescrizioni il giudice sceglie liberamente la forma dei provvedimenti
In questo modo l’art. 131 2° comma c.p.c. finisce con l’essere l’applicazione al campo dei provvedimenti del principio sulla libertà delle forme previsto dall’art 121 c.p.c. per gli atti di parte. La dottrina tuttavia che già ritiene superfluo l’art. 121 c.p.c. assoggetta l’art 131 2° comma c.p.c. ad interpretatio abrogans in base al seguente ragionamento. Innanzitutto va detto che la legge fissa i modelli o gli schemi dei provvedimenti con maggior cura e precisione di quanto non faccia per i modelli o gli schemi degli atti di parte.
Il modello della sentenza è infatti descritto dall’art 132 c.p.c. quello dell’ordinanza dall’art. 134 c.p.c. e quello del decreto dall’art. 135 c.p.c. Si tratta anche in questo caso di requisiti di forma-contenuto che vanno poi riempiti in relazione alle concrete vicende del processo. Il legislatore poi stabilisce in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto e ricollega alla forma-contenuto dell’atto il regime giuridico dei provvedimenti. In particolare la sentenza è impugnabile ed è idonea a divenire immutabile passando in giudicato, l’ordinanza che deve essere succintamente motivata è essenzialmente revocabile e modificabile mentre il decreto che non sembra essere munito necessariamente di motivazione è assoggettato ad un regime non unitario che viene fissato di volta in volta dalla legge.
Da quanto esposto appare chiaro che lasciare al giudice la possibilità di creare un diverso tipo di provvedimento avrebbe comportato la necessità di prevedere quale regime giuridico fosse ad esso applicabile così come lasciare al giudice la possibilità di scegliere il tipo di provvedimento avrebbe significato lasciare al giudice il potere di scegliere di volta in volta quale sia il regime giuridico dell’atto conseguenze queste inaccettabili in quanto si potrebbe alterare il principio del paritario trattamento. Ci si è chiesti se sia possibile sindacare l’idoneità del modello generale previsto in astratto dalla legge allo scopo obiettivo che il provvedimento persegue. Il problema sorge perché ex art 111 2° comma della cost. contro le sentenze è sempre ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge.
La dottrina e la giurisprudenza si sono chiesti al riguardo se tale articolo si riferisca solo alle sentenze o anche agli altri provvedimenti come ad es. le ordinanze e i decreti che pur avendo tale forma abbiano la funzione decisoria tipica delle sentenze se cioè sia possibile da parte dei giudici ordinari un controllo sull’adeguatezza della forma dei provvedimenti rispetto alla loro funzione. Al riguardo va detto che mentre la dottrina prevalente ritiene che i giudici che ritengono il modello previsto in astratto dalla legge inadeguato devono sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma che prevede il modello la giurisprudenza ritiene invece che il giudice debba guardare non alla forma ma alla sostanza (contenuto) del provvedimento.
Diverso è il caso in cui invece di essere il legislatore a dare all’atto una forma diversa da quella che avrebbe dovuto avere in relazione alla sua funzione sia il giudice a sbagliare ad es. pronuncia ordinanza mentre avrebbe dovuto pronunciare sentenza. Anche in questo caso si ritiene che si debba dare prevalenza alla sostanza rispetto alla forma purchè il provvedimento abbia il minimo dei requisiti formali per rientrare nel tipo che sarebbe congruo in relazione al suo contenuto. In questi casi si ci chiede altresì se il provvedimento sia impugnabile con il mezzo che si adatta al contenuto ad es. l’appello nel caso di ordinanza avente contenuto di sentenza oppure possa proporsi soltanto ricorso per cassazione ex art 111 cost. La giurisprudenza si è orientata nel primo senso a condizione che si tratti di provvedimento conclusivo del giudizio .
Per concludere va chiarito che nel caso in cui il giudice abbia errato nella qualificazione giuridica del provvedimento la parte nell’impugnare dovrà comunque rifarsi ad essa per ciò che concerne il mezzo d’impugnazione ad es. se il giudice qualifichi una sentenza come opposizione agli atti esecutivi la quale è soggetta solo a ricorso per cassazione e a regolamento di competenza e la parte ritenga invece che si tratti di una sentenza di opposizione all’esecuzione la quale è impugnabile con i normali mezzi essa non può sostituire la qualificazione che emerge dalla sentenza per cui potrà proporre solo il ricorso in cassazione.