Per svolgere le sue funzioni, un ente pubblico deve contare su una disponibilità finanziaria che può derivare dal proprio patrimonio o da mezzi forniti dai soggetti con cui l’ente si relaziona. Nella normalità dei casi il patrimonio dell’ente non è capiente per fronteggiare la spesa pubblica, per cui il principale strumento di finanziamento è rappresentato da un periodico flusso finanziario volontariamente (spesa finanziata mediante l’indebitamento dell’ente nei confronti di banche o di risparmiatori, che procurano i fondi necessari in base a rapporti di mutuo ovvero mediante la redditività di attività economiche gestite direttamente dall’ente pubblico o con l’affidamento in concessione a terzi) o coattivamente proveniente da terzi (finanziamento si realizza con entrate coattive che danno luogo ad un trasferimento definitivo di ricchezza a favore dell’ente: ciò è giustificato dalla appartenenza del soggetto obbligato all’ente).
Ora, la parola “tributo”, “imposta”, “tassa”, “contributo” hanno come centro un obbligo, la cui fonte però non è ricollegabile a una manifestazione di volontà, bensì ad un’imposizione non volontaria. Il ricorso a forme non volontarie di finanziamento delle spese pubbliche (prevalentemente rivolte verso i soggetti partecipanti all’organizzazione sociale) rappresenta la regola degli ordinamenti civili. Una regolamentazione giuridica della partecipazione individuale ai carichi pubblici non è stata necessaria fino all’avvento dello Stato moderno. Questo perché nel cosiddetto “Stato assoluto”, patrimonio personale del re = finanza pubblica (quindi il tributo rappresentava la logica esternazione e uno degli strumenti di incremento). Successivamente si giunse ad una separazione tra patrimonio del re e tra la finanza pubblica, tuttavia la regolamentazione giuridica del tributo veniva a confondersi con le caratteristiche proprie dell’investitura feudale (che univa una componente liberale, che si manifestava nell’atto di infeudamento, con l’obbligo di certi servizi militari e amministrativi in capo al feudatario). Con l’affermarsi poi dei principi dello Stato moderno nonché del riconoscimento della partecipazione dei singoli alle scelte pubbliche, ci fu una diversa visione del prelievo tributario, che non era più forma di puro esercizio di sovranità bensì il principale strumento di raccolta finanziaria destinata al sostenimento delle spese pubbliche. Ad oggi la teoria si propone di concorrere alla realizzazione di un razionale sistema impositivo che contemperi con norme fondate su capisaldi dell’esperienza giuridica, l’interesse pubblico al prelievo tributario con la garanzia dei diritti fondamentali dell’individuo riconosciuti dalla legge.