Ci si è chiesti come il giudice deve valutare le prove. Anche in questo caso il legislatore sembra aver fissato un rapporto di regola ed eccezione disponendo all’art 116 c.p.c. che il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento salvo che la legge disponga altrimenti. In questo modo il legislatore sembra dire che normalmente il giudice valuta le prove secondo il suo prudente apprezzamento cd. Prova libera ed eccezionalmente non le può valutare in questo modo cd. Prova legale.

Questa soluzione data anche la molteplicità di eccezioni è criticata da coloro che ritengono che tutte le prove dovrebbero avere pari valore  ed essere tutte soggette al libero apprezzamento del giudice. Per comprendere bene il senso della critica occorre precisare bene i concetti di prova libera e prova legale. Nel primo caso il giudice deve valutare le prove secondo criteri non arbitrari ma razionali che gli consentono di stabilire se e in che limiti la prova è utilizzabile ai fini della ricostruzione del fatto.

In sostanza la conclusione del giudice è tratta da una premessa minore ad es. una testimonianza e da una premessa maggiore ad es. il criterio razionale secondo cui tutti sono disposti a credere che le persone oneste dicano il vero specie sotto giuramento. Questa premessa maggiore che è razionale nella misura in cui riceve il consenso della collettività è in sostanza una massima comune di esperienza la quale si pone come il necessario anello di congiunzione tra il fatto probatorio processuale e la conclusione che il giudice ne deriva nel formarsi la sua convinzione.

Nel caso della prova legale invece il legislatore ha cristallizzato la massima comune di esperienza rendendola regola giuridica e quindi non modificabile nel caso concreto ad es. poiché la parte che dichiara fatti a se sfavorevoli e favorevoli all’altra parte normalmente dice il vero tranne il caso in cui sia folle il legislatore è giunto alla conclusione che la dichiarazione confessoria deve essere ritenuta vera dal giudice  il quale pertanto non può liberamente valutarla anche se abbia il sospetto che la parte dica il falso.

Allo stesso modo poiché chi giura normalmente dice il vero il giudice è tenuto a credere a quanto risulta dal giuramento. In ogni caso va chiarito per ciò che concerne la prova legale che i meccanismi di valutazione preventiva presuppongono da un lato che i soggetti siano pienamente capaci e dall’altro che i diritti su cui incidono siano diritti disponibili. Alcuni hanno obiettato che la razionalità del ragionamento giudiziale non è dimostrabile, che i giudici decidono sulla base di impulsi istintivi, di sensazioni, di intuizioni non oggettivabili, che le motivazioni sono sovrastrutture posticce ed insincere con le quali si cerca di giustificare decisioni già prese, che le massime di esperienza non hanno alcuna validità scientifica ecc. Se queste obiezioni fossero vere dovremmo concludere che l’attività del giudice è arbitraria, soggettiva e incontrollabile.

A parte il fatto che queste conclusioni non sono condivise dagli studiosi di logica va detto che neppure il nostro legislatore ha accolto simili presupposti. Una traccia evidente di questo orientamento si ricava dall’art 111 cost. che impone l’obbligo della motivazione. E’ infatti ad essa che le parti, i giudici superiori e la collettività possono e devono fare riferimento per stabilire se il giudice abbia deciso secondo il suo prudente apprezzamento.

La conferma di ciò è data dal fatto che tra i motivi di ricorso in cassazione cioè in una sede dove si dovrebbe sindacare solo l’esistenza di errori di diritto non  a caso viene annoverato quello derivante da omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Il 2° comma dell’art 116 annovera accanto alle prove gli argomenti di prova elencando tra i fatti che possono dar luogo ad argomenti di prova le risposte delle parti in sede di interrogatorio libero, il loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni, ed in generale il loro contegno nel corso del processo.

Tali fatti nella logica del legislatore possono servire ad interpretare le prove altrimenti acquisite. In altri termini tali fatti che di per se non sono sufficienti dato che il giudice non può fondare solo su di essi il proprio convincimento diventano rilevanti potendo essere utilizzati dal giudice per pervenire alla valutazione critica delle vere e proprie prove.

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