Non esistono caratteri immutabili e universalmente validi del processo il quale è attualmente retto dai seguenti principi:
1) nessuno può essere giudice se non è sufficientemente distaccato dall’affare che deve trattare
2) non è possibile che il giudice inizi egli stesso il processo
3) deve essere sufficientemente garantita alle parti la possibilità di difendersi
4) il giudice nel risolvere la controversia non si rifà a canoni di valutazione arbitrari ma si riferisce a canoni di valutazione precostituiti
A questa configurazione del processo si è pervenuti attraverso una lenta evoluzione storica che ha elevato a rango costituzionale i principi che lo reggono per cui nel caso in cui le leggi processuali ordinarie siano contrarie a tali principi esse possono essere denunciate alla Corte Cost. Come è noto nel nostro ordinamento non è possibile una denuncia diretta da parte dei cittadini essendo necessaria la valutazione di non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice del processo presso il quale la questione sia stata sollevata.
I principi fondamentali sono complessi e tra loro interdipendenti, ad es. il divieto del giudice di iniziare il processo d’ufficio è il riflesso dell’esigenza di garantire la sua posizione neutrale la quale a sua volta presuppone che il giudice sia pienamente autonomo e indipendente anche se va detto che egli non può decidere arbitrariamente ma deve rifarsi a canoni di valutazione precostituiti. Hanno direttamente la funzione di garantire la neutralità del giudice le norme che prevedono:
1) il divieto di iniziativa processuale d’ufficio (art 24)
2) la garanzia del giudice naturale (art 25)
3) il divieto di costituire giudici straordinari o speciali (art 102)
4) la soggezione dei giudici alla legge (art 101)
Questi principi sono stati rafforzati e ribaditi dall’art 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo recepita in Italia con la legge del 48 n. 848. Occorre rilevare che il divieto di iniziativa ufficiosa emerge da un esame controluce della disposizione dell’art 24 cost.
Al positivo la norma esprime il fondamentale principio secondo cui non è possibile per nessuna ragione ostacolare o limitare i cittadini nella difesa delle posizioni sostanziali riconosciute dall’ordinamento (diritti soggettivi-interessi legittimi). Quanto detto trova conferma nell’art 113 cost. che ribadisce tale principio anche quando ad essere convenuta in giudizio sia la P.A.
Dal punto di vista negativo il rispetto delle posizioni riconosciute impone che solo chi si afferma portatore di tali posizioni può decidere se ricorrere o meno alla tutela giurisdizionale. Per quanto riguarda invece la garanzia del giudice naturale va detto che il costituente si è reso conto che non sarebbe mai stato considerato come neutrale dalla collettività il giudice che fosse stato scelto dopo la nascita della controversia o affare giudiziario o in base a criteri elaborati successivamente a tale nascita. E’ naturale dunque il giudice che sia scelto in virtù di criteri oggettivi preesistenti alla nascita del processo e che non sia straordinario o speciale.
Per quanto riguarda infine la soggezione dei giudici alla legge va detto che al positivo la norma è in funzione dell’esigenza di garantire l’autonomia e indipendenza dei giudici dalle pressioni degli altri organi costituzionali mentre al negativo essa costituisce un limite dato che i giudici non possono oltrepassare la legge e devono ricercare in essa il canone di valutazione precostituito per i singoli casi concreti.
Una conferma di questo aspetto del processo si ricava dall’art 111 cost. che stabilisce che tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati e che contro le sentenze e gli altri provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dai giudici ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge. Risulta quindi evidente che la motivazione deve fare riferimento alla legge come al parametro oggettivo più rilevante al quale il giudice deve attenersi prima per decidere e poi per giustificare la sua decisione. Va anche precisato che la motivazione adempie alla sua funzione non solo nei confronti delle parti e dell’eventuale giudice dell’impugnazione ma anche nei confronti della collettività la quale attraverso essa è in grado di controllare la razionalità e obiettività dell’attività giurisdizionale.