I Trattati e il diritto primario dell’Unione Europea
Accanto ai due Trattati che oggi costituiscono l’asse portante dell’Unione europea, esiste tutta una serie di altri atti ad essi ricollegati, che, venuti nel tempo ad integrare o modificare le precedenti versioni dei Trattati, continuano oggi ad esplicare la loro efficacia pure in relazione ai Trattati attuali. Si pensi gli atti internazionali scaturiti negli anni.
Ora come in passato, i Trattati istitutivi sono poi affiancati da una serie di protocolli ad essi allegati, dove sono disciplinati alcuni aspetti del funzionamento dell’Unione non regolati o contemplati per vie solo generali all’interno degli stessi Trattati. L’inserimento di un protocollo è dovuto alla volontà di non appesantire ulteriormente il testo del Trattato e di facilitare l’eventuale successiva integrazione della disciplina dettata dal protocollo.
Questo tipo di strumento è stato utilizzato per introdurre nel sistema discipline ad applicazione differenziata senza intaccare la portata unitaria dei Trattati principali e del diritto dell’Unione: è il caso per il passato del Protocollo sulla politica sociale, attraverso cui si autorizzò al tempo del Trattato di Maastricht una cooperazione rafforzata in materia di lavoro tra undici Stati membri su dodici; o vari protocolli adottati per consentire a singoli Stati una posizione differenziata dagli altri rispetto a taluni settori di attività dell’Unione.
Quale ne sia la finalità , le norme di questi protocolli hanno comunque lo stesso valore giuridico dalle norme dei Trattati ai quali si ricollegano, ne sono <parte integrante>. Lo ribadisce oggi l’art 51 del nuovo TUE.
Alla nozione dei Trattati, quali fonti di diritto primario, vanno ricondotti anche gli atti di adesione, attraverso i quali hanno acquistato lo status di membro i diversi Stati che si sono venuti ad aggiungere ai sei originari. La procedura di adesione regolata oggi dall’art 49 TUE, sfocia in un accordo internazionale tra gli Stati già membri e lo Stato o gli Stati aderenti, destinato a fissare gli adattamenti istituzionali resi necessari dall’ingresso di uno o più nuovi Stati, quindi le condizioni per l’ammissione e le eventuali deroghe alle norme esistenti che permettano di tenere conto di problemi specifici dello Stato aderente.
Le norme corrispondenti dell’atto di adesione vanno pertanto ad integrare i Trattati istitutivi. Il fatto che tali norme siano direttamente riconducibili alla volontà degli Stati, in quanto soggetti sovrani, comporta che vada riconosciuta natura di diritto primario anche a quelle tra di esse che, nel quadro delle condizioni per l’ammissioni del nuovo Stato membro, comportino eventualmente modifiche ad atti di diritto derivato.
Benché le disposizioni modificate siano contenute in atti di diritto derivato, quelle di modifica sono comunque parte dell’accordo di adesione, con la conseguenza che esse non sono <un atto del Consiglio, ma disposizioni di diritto primario che..possono essere sospese, modificate o abrogate soltanto mediante i procedimenti contemplati per la revisione dei Trattati originari>. Sempre riconducibili alla volontà espressa dagli Stati vanno riportate alla nozione di Trattati (quindi di diritto primario) anche quelle integrazioni degli stessi che sono avvenute sulla base di procedure semplificate. In particolare, all’istituzione del sistema delle risorse proprie comunitarie o all’introduzione del’elezione a suffragio diretto del Parlamento europeo.
Con il Trattato di Lisbona art 42 del TUE in maniera esplicita dispone che, laddove il Consiglio europeo decide all’unanimità il passaggio ad una difesa comune europea, esso raccomanderà <agli Stati membri di adottare una decisione in tal senso conformemente alle rispettive norme costituzionali>, <il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all’’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta una decisione che stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie dell’Unione..Tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali>.
Va infine considerato, quando ci si riferisce ai Trattati, tanto quali istitutivi quanto alcuni degli atti ad essi collegati, quali quelli di adesione di nuovi membri, sono accompagnati da una serie numerosa di dichiarazioni concernenti specifiche parti o norme degli stessi ovvero aspetti ad essi in qualche modo connessi; ovviamente tali dichiarazioni sono prive di valore normativo, esse fanno di parte del <contesto> ma costituiscono strumenti di interpretazione delle norme alle quali direttamente si riferiscono.
Discorso a parte è per la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione che con il Trattato di Lisbona ha acquistato, alla stregua di un protocollo, valore formale di diritto primario (mentre prima fungeva da dichiarazione ai Trattati): essa <ha lo stesso valore giuridico dei Trattati>.
Gli effetti delle norme di diritto primario sui soggetti dell’ordinamento
<L’ordinamento europeo riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini>, quindi è del tutto concepibile che dal Trattato derivino diritti soggettivi per i singoli, e ciò <non soltanto nei casi in cui il Trattato espressamente li menziona, ma anche come contropartita di precisi obblighi imposti dal Trattato ai singoli, agli Stati membri o alle istituzioni comunitarie>. Questo non significa che tutte le norme dei Trattati siano suscettibili di produrre effetti direttamente in capo a persone fisiche o giuridiche, dato che sono per lo più strutturate avendo a modello destinatari di natura statuale. Una norma può creare per i singoli situazioni giuridiche soggettive che possano essere invocate davanti ad un giudice nazionale. Caratteristiche di queste norme sono la chiarezza, la precisione, la completezza ed il carattere incondizionato delle norma invocata.
Così come possono attribuire loro diritti, le norme dei Trattati possono essere per i privati anche fonte diretta di obblighi nei confronti dei altri privati: ad es il principio della parità di retribuzione fra uomo e donna per un lavoro di pari valore, il divieto di discriminazione per motivi di nazionalità in materia di lavoro subordinato e di prestazione di servizi.