Tra le istituzioni che si potrebbero definire <politiche> spiccano: il Consiglio europeo, il Consiglio, il Parlamento europeo, la Commissione.
Questo loro carattere è motivato dalla impronta politica che contraddistingue la loro composizione, ma anche dalle funzioni che assolvono. Tutte e quattro partecipano al processo decisionale dell’Unione; orientano la vita e gli indirizzi politici dell’Unione. È quindi comprensibile che il rapporto esistente tra queste istituzioni identifica l’effettivo assetto istituzionale dell’Unione e degli equilibri di potere al suo interno.
In passato, quel rapporto di giocava all’interno del triangolo formato da Consiglio, Parlamento europeo e Commissione, organi rappresentativi rispettivamente degli Stati membri intesi come apparati di governo, dei popoli dell’Unione e dell’interesse generale di questa. Si è formato un sostanziale equilibrio tra la componente governativa (il Consiglio) e quella non governativa (Parlamento europeo e Commissione).
Il Consiglio europeo, prima del Trattato di Lisbona non era annoverato tra le istituzioni dell’Unione, né operava come una di loro: era sottratto ai controlli ed ai limiti, e le sue deliberazioni non si traducevano né in voti, né in atti formali. Esso si presentava con grande informalità: i capi di Stato o governo, con i rispettivi ministri degli esteri ed il presidente della Commissione, definivano in comune, senza entrare nei normali meccanismi decisori dell’Unione, i grandi orientamenti politici e le linee di sviluppo di questa. Ma era necessario che le indicazioni da essi provenienti fossero accolti in atti conseguenti delle altre istituzioni del triangolo istituzionale.
Con il suo inserimento tra le istituzioni dell’Unione, il Consiglio europeo ha subito oggi un’evoluzione. In primo luogo, almeno quando è chiamato al voto la sua composizione finisce per coincidere in buona sostanza con quella del Consiglio; l’Unione si trova così ad avere due organi a composizione intergovernativa formalmente distinti, ma sostanzialmente identici. La rappresentanza dei governi a livello dell’Unione cessa di essere unitaria, per dare rilievo al suo interno, attraverso la previsione di una sede istituzionale distinta per i capi di Stato e di governo e per i ministri, all’articolazione <gerarchica> degli esecutivi nazionali
In secondo luogo, essendo stata accompagnata dall’attribuzione al Consiglio europeo di funzioni produttive di conseguenze formali sui processi decisionali dell’Unione, questa riorganizzazione della rappresentanza dei governi sembra ripercuotersi anche sull’equilibrio istituzionale, che appare oggi spostato a vantaggio della componente governativa.
A seguito del Trattato di Lisbona, nell’esercizio di alcune delle loro funzioni esse sono tenute a confrontarsi anche con i parlamenti nazionali che sono oggi chiamati a contribuire attivamente al buon funzionamento dell’Unione. I Trattati coinvolgono formalmente i parlamenti degli Stati membri in una serie di procedure dell’Unione , facendo degli stessi dei protagonisti in prima persona della vita istituzionale dell’Unione. A parte il loro ruolo nel quadro di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà, si tratta di una previsione di una loro informazione diretta da parte delle istituzioni dell’Unione responsabili di determinate procedure, accompagnata dall’obbligo di quelle istituzioni di sospendere la procedura per un tempo sufficiente a permettere un’eventuale reazione dei parlamenti nazionali.
È poi prevista l’associazione di questi al controllo politico sulle due agenzie dell’Unione (Europol ed Eurojust) operanti nei settori della cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia, ad alla valutazione sull’attuazione delle politiche dell’Unione nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. I parlamenti nazionali possono bloccare direttamente, senza la mediazione dei rispettivi governi, decisioni delle istituzioni.
Questo coinvolgimento diretto dei parlamenti nazionali è di per sé una novità, perché il sistema istituzionale dell’Unione era modellato su una rappresentanza unitaria degli Stati attraverso i rispettivi governi: sono sempre stati questi ad esprimere la posizione del relativo Stato in seno all’Unione. I parlamenti nazionali sono chiamati ad esprimere proprie posizioni autonome e, di conseguenza, un controllo politico diretto sul funzionamento dell’Unione.
La scelta fatta dal Trattato di Lisbona di affiancare formalmente i parlamenti nazionali al Parlamento europeo nell’esercizio del controllo democratico su attività dell’Unione appare poco coerente con il principio indiscusso che a livello dell’Unione i cittadini partecipano all’esercizio del potere attraverso il Paralamento europeo, e rischia anche di mettere in discussione la piena legittimità del Parlamento europeo a rappresentare i cittadini degli Stati membri all’interno del sistema istituzionale.
Il Consiglio europeo
Riunisce i capi di Stato o di governo degli Stati membri insieme al presidente della Commissione. Gli è attribuita dall’art 15 del TUE una generale competenza a dare <all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e (a definirne) gli orientamenti e le priorità politiche generali>. Quindi oltre a questo ruolo generale di indirizzo politico, spettano al Consiglio europeo le decisioni <istituzionali> di maggior sensibilità politica per la vita dell’Unione: propone o nomina le cariche più rilevanti non affidate direttamente alla competenza degli Stati membri; decide gli aspetti della composizione e funzionamento di altre istituzioni; ha la responsabilità principale in materia di revisione dei Trattati e di modifica di talune delle loro disposizioni; prende decisioni di rilievo politico per la membership dell’Unione.
Benché si esclude che il Consiglio europeo eserciti funzioni legislative, alcuni compiti non sono privi di impatti sull’azione legislativa delle istituzioni. Spetta a lui definire gli orientamenti strategici della programmazione legislativa dell’Unione nel settore dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. È chiamato a svolgere un ruolo di <arbitraggio> politico sui dossier, anche legislativi, quando gli stessi siano oggetto di contrasti suscettibili di bloccare l’azione dell’Unione.
Dopo il Trattato di Lisbona si attribuiscono al Consiglio europeo il compito, in alcuni casi di trovare tra gli Stati membri l’accordo necessario a sbloccare una decisione del Consiglio dell’Unione, in altri casi di mediare tra le posizione della maggioranza e quella di uno Stato minorizzato.
L’intervento del Consiglio europeo a questo titolo ha come destinatario di fatto il Consiglio dell’Unione, cui spetterà tradurre successivamente in atti formali l’eventuale compromesso raggiunto a livello dei capi di Stato o di governo. Ai sensi dell’art 48 TFUE il coinvolgimento del Consiglio europeo da parte di uno Stato membro che ritenga che una proposta in discussione nel quadro della procedura legislativa ordinaria lede aspetti importanti del suo sistema di sicurezza sociale, ha l’effetto di impedire il proseguimento di una procedura decisionale di cui sono protagonisti insieme al Consiglio, anche il Parlamento e la Commissione: una volta adito il Consiglio europeo la procedura legislativa è sospesa e in caso di mancata pronuncia della stesso Consiglio europeo entro quattro mesi, definitivamente interrotta.
L’acquisizione dello status di istituzione fa uscire il Consiglio europeo dall’ambiguità precedente, inserendolo a pieno titolo nel sistema istituzionale dell’Unione.
In precedenza partecipavano al Consiglio europeo anche i ministri degli affari esteri ed un commissario; oggi è invece stabilito che ai lavori partecipa di pieno diritto solo l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il quale è anche vicepresidente della Commissione; i capi di Stato o di governo possono farsi assistere da un ministro, senza che sia necessario il ministro degli esteri. È esclusa la possibilità di un capo di Stato o di governo di farsi sostituire da un ministro, se impossibilitato a partecipare ad una riunione.
Ulteriore novità è che la presidenza del Consiglio europeo non è, come in precedenza, occupata dal capo di Stato o di governo dello Stato membro cui spetta per rotazione, bensì da un presidente eletto dallo stesso Consiglio europeo, a maggioranza qualificata, per un mandato di due anni e mezzo rinnovabile una volta.
La nomina a presidente è incompatibile con un mandato nazionale, laddove quindi egli venga scelto, egli dovrebbe dimettersi da capo di Stato o di governo. È invece ipotizzabile che possa essere eletto alla presidenza del Consiglio europeo il presidente della Commissione, senza che sia obbligato a lasciare l’incarico ricoperto.
Il presidente del Consiglio europeo ha funzioni legate alla preparazione e gestione dei lavori dell’istituzioni, ma egli assicura anche la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative alla PESC. Il Consiglio europeo si riunisce a Bruxelles due volte a semestre, con la possibilità di riunioni straordinarie si convocazione del suo presidente.
In passato proprio perché l’efficacia delle sue deliberazioni non aveva una carattere formalmente vincolante e venivano prese per consensus: la decisione era raggiunta, senza esercizio formale di un diritto di voto, si contribuiva alla formazione della volontà collegiale. Anche dopo la sua trasformazione in istituzione dotata di un suo formale potere di decisione, le sue delibere rimangono subordinate alla regola del consensus: <il Consiglio europeo si pronuncia per consenso, salvo nei casi in cui i Trattati dispongano diversamente>.
In tali casi, i Trattati gli impongono il ricorso a regole di voto formali. Può essere ora chiamato a votare, a seconda di quanto stabilito dai Trattati, deliberando all’unanimità, a maggioranza semplice o maggioranza qualificata. Queste regole di voto presentano caratteristiche analoghe a quelle previste per il Consiglio. L’unanimità si forma anche in presenza dell’estensione di uno o più membri del Consiglio europeo; la maggioranza semplice con la metà più uno sei suoi membri; la maggioranza qualificata si basa su di un sistema che tiene conto del peso relativo di ciascuno degli Stati membri.
Quando <il Consiglio delibera mediante votazione, il presidente e il presidente della Commissione non partecipano al voto>; ciò appare logico nel caso della votazione a maggioranza qualificata, perché è costruita sulla diversa dimensione dei partecipanti al voto; meno comprensibile è che ciò si applichi anche al voto all’unanimità o maggioranza semplice, visto che entrambi sono membri a pieno titolo del Consiglio europeo. Questa esclusione comporta peraltro l’annullamento di ogni differenzia tra il Consiglio europeo e il Consiglio per quanto riguarda la loro composizione, visto che la volontà collegiale espressa dalle due istituzioni finisce per essere comunque quella dei soli governi degli Stati membri, indipendentemente dal rango dei partecipanti.
Il Consiglio
Formato dai rappresentanti dei governi degli Stati membri. Rappresenta il centro di gravità dell’equilibrio istituzionale dell’Unione. <Il Consiglio esercita.. la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei Trattati>.
Esso possiede delle funzioni che lo caratterizzano come titolare del potere legislativo e di quello esecutivo. Il Consiglio è infatti lo snodo istituzionale attraverso cui passano tutte le decisioni formali si cui si muovono la vita istituzionale e l’azione quotidiana dell’Unione. Esso è il protagonista principale dell’esercizio del potere decisionale a livello dell’Unione. È compito suo, in collegamento con il Consiglio europeo, fornire a questa gli indirizzi politici e definirne gli orientamenti generali; ad esso spettano le decisioni istituzionali non riservate al Consiglio europeo; è al Consiglio che insieme al Parlamento europeo, fa capo l’attività legislativa; è in seno al Consiglio che viene assicurato il coordinamento delle politiche economiche generali degli Stati membri; esso conclude accordi internazionali dell’Unione e gestisce la politica estera comune, detenendo la titolarità effettiva del potere estero.
È formato da un <rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato ad impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto>. Esso si riunisce a Bruxelles dove ha sede il suo segretariato, le sessioni del Consiglio sono convocate sulla base di ordini del giorno omogenei per materia; si hanno così sessioni del Consiglio composte dai ministri del lavoro o da quelli delle telecomunicazioni.
L’elenco delle diverse formazioni in cui il Consiglio può riunirsi è deciso dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, salvo che per le formazioni <Affari generali> e <Affari esteri> che sono direttamente previste dai Trattati. <Il Consiglio ‘Affari esteri’ elabora l’azione esterna dell’Unione secondo le linee strategiche definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell’azione dell’Unione>. Siamo in presenza di diverse formazioni in cui esso può riunirsi (Consiglio Giustizia e affari interni, Consiglio Agricoltura e pesca, Consiglio Ambiente..) non sono organi differenti bensì solo composizioni diverse. È frequente che decisioni di una data materia che non richiedano una discussione dei ministri siano formalmente adottate da una formazione <competente> per altra materia.
Non costituisce una vera e propria formazione del Consiglio, benché composto dai ministri delle finanze, l’Eurogruppo; oggi ufficializzato da un Protocollo allegato ai Trattati, che prevede che i ministri degli Stati membri la cui moneta è l’euro si riuniscono <a titolo informale> insieme alla Banca centrale europea ed alla Commissione per discutere questioni in materia di moneta unica.
Si può dar luogo ad una forma di gerarchia sostanziale tra le diverse formazioni. È questo il caso del CAG (Consiglio Affari generali) cui spetta un ruolo di coordinamento dei lavori del Consiglio (e quindi delle altre formazioni di questo). Un ruolo ugualmente significativo è assunto, in coincidenza al consolidarsi dell’Unione economica e monetaria, anche del Consiglio ECOFIN, il Consiglio cioè a cui partecipano i ministri dell’economia e delle finanze.
La scelta del rappresentante da inviare a ciascun Consiglio è rimessa al singolo Stato membro, purchè abbia livello ministeriale. Possono partecipare al Consiglio non necessariamente ministri, ma anche sottosegretari governo o per taluni Stati membri con assetto federale, membri dei governi di entità infrastatali quali i Länder, fermo restando che la loro volontà impegnerà in ogni caso il governo dello Stato membro in quanto tale. Anche in Italia sono previste forme di partecipazione delle Regioni e Province autonome.
A parte l’articolazione orizzontale per formazioni, il Consiglio ha anche un’articolazione verticale a forma quasi di clessidra, allo scopo di facilitare lo svolgimento dei suoi lavori. Alla base vi sono gruppi di lavoro composti da funzionari degli Stati membri e specializzati per materia. La preparazione delle deliberazioni del Consiglio viene poi perfezionata dal Comitato dei Rappresentanti permanenti degli Stati membri a Bruxelles, il COREPER. Dopodiché spetta al Consiglio a livello di ministri, in una delle sue diverse formazioni, prendere la deliberazione finale. Esse però in quanto articolazioni interne del Consiglio sono prive di una propria identità e di un potere deliberativo autonomo.
Ciò è vero anche per il COREPER che ha il potere di <adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento interno del Consiglio>, e finisce però per essere un elemento essenziale; canalizzando il lavoro di un numero elevato di gruppi di lavoro specializzati, esso rappresenta, lo snodo che premette di assicurare la coerenza generale dei lavori e delle decisioni del Consiglio.
Il Consiglio è presieduto a turno dagli Stati membri sulla base di un sistema di rotazione, disciplinato da una decisione del Consiglio europeo adottata a maggioranza qualificata. Si prevede una presidenza per gruppi predeterminati di tre Stati, che se ne ripartiscono l’esercizio per 18 mesi, all’interno dei quali ciascuno Stato esercita a turno la presidenza per sei mesi con l’assistenza degli altri due. Ciascun gruppo è composto secondo un sistema di rotazione paritaria, che tiene conto della diversità degli Stati membri e degli equilibri geografici dell’Unione.
La presidenza prima del Trattato di Lisbona era sempre basata su un sistema di rotazione semestrale tra gli Stati membri, seppur al di fuori di un meccanismo di gruppo. La reale novità è che a questo nuovo sistema fa eccezione la presidenza del Consiglio Affari esteri, che è sottratta agli Stati ed è riservata all’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza; novità che si estende anche alla formazione del Consiglio in materia di politica estera e di sicurezza comune che è affidata a rappresentanti dell’Alto rappresentante, con la sola eccezione del COREPER, la cui presidenza rimane responsabilità del Rappresentante permanente dello Stato membro che esercita la presidenza di turno del CAG.
Il Consigli è assistito da un apparato amministrativo, il Segretariato generale, al cui vertice è posto un Segretario generale nominato a maggioranza qualificata dallo stesso Consiglio.
Prima del Trattato di Lisbona qualora non fosse specificata nei Trattati la modalità di voto per prendere una decisioni, esso deliberava a maggioranza semplice (la metà più uno dei suoi membri); ora la regola di voto è diventata la maggioranza qualificata. Il cambiamento è meno significativo di quanto appaia, dato che in precedenza la procedura di voto era quasi sempre specificata e nella grande maggioranza si trattava proprio della maggioranza qualificata. La maggioranza semplice rimane la regola applicabile, sulla base di una precisione esplicita, per l’adozione del regolamento interno e per le decisioni di procedura.
Quanto dell’unanimità, essa ha visto progressivamente ridursi in proprio ambito di applicazione in connessione con l’aumento del numero degli Stati membri, e resta ora confinata alle sole decisioni politicamente più sensibili, per esempio nel settore della PESC. L’astensione del rappresentante di uno Stato in seno al Consiglio non osta al raggiungimento dell’unanimità, ma non rende inapplicabile l’atto allo Stato che si è astenuto. Tuttavia, quando il Consiglio delibera all’unanimità nell’ambito della PESC, vi può essere un’eccezione, nel senso che lo Stato che accompagna la sua astensione con una dichiarazione formale di non voler essere vincolato dalla decisioni del Consiglio, esso non sarà destinato degli obblighi da questa posti, cosiddetta <astensione costruttiva>. Quando gli Stati che vi fanno ricorso sono almeno un terzo dei membri del Consiglio che totalizzano almeno un terzo della popolazione dell’Unione, la decisone non è adottata perché il sostegno a quell’azione dell’Unione sarebbe troppo limitato.
La maggioranza qualificata in sede di Consiglio europeo e di Consiglio
A differenza della maggioranza semplice e dell’unanimità dove il voto di ciascuno ha un peso identico, la maggioranza qualificata si fonda su un sistema che tiene conto della diversa <grandezza> degli Stati membri.
Prima del Trattati di Lisbona questa modalità di voto era applicabile al solo Consiglio sulla base del sistema di cosiddetto voto ponderato (criticato perché concede ad alcuni paesi, in particolare Spagna e Polonia, un potere sproporzionato rispetto al loro reale peso), in sostanza per il raggiungimento della maggioranza qualificata a ciascuno Stato membro spetta un numero di voti commisurato al suo peso economico e demografico. Tale sistema viene ora sostituto da un meccanismo di doppia maggioranza, ai sensi del quale la maggioranza qualificata è raggiunta con una maggioranza di Stati membri che rappresentino una certa maggioranza della popolazione dell’Unione; esso entrerà in vigore dal 1° novembre 2014, infatti il sistema del voto ponderato rimarrà di applicazione fino a tale data.
È stata modificata la ponderazione fissata nel 1957, nel tentativo di ristabilire l’equilibrio iniziale che si era venuto progressivamente alterando a seguito dei successivi allargamenti. La nuova ponderazione attribuisce ai quattro paesi più grandi (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) 29 voti ciascuno, Spagna e Polonia 27, Romania 14, Paesi Bassi 13, Belgio Grecia Portogallo Repubblica Ceca ed Ungheria 12, Austria Bulgaria e Svezia 10, Danimarca Finlandia Irlanda Lituania e Slovacchia 7, Lussemburgo Cipro Estonia Lettonia e Slovenia 4, Malta 3. Su un totale di 345 voti, la maggioranza qualificata si considera raggiunta con 255 voti che esprimano il voto favorevole della maggioranza degli Stati membri, quando la delibera è adottata sulla base di una proposta della Commissione; in caso la quota di Stati membri da cui provengono i 255 voti favorevoli deve corrispondere ai due terzi del totale.
Se la combinazione della maggioranza dei voti ponderati con il requisito di una maggioranza di Stati finisce per garantire maggiormente i piccoli Stati, a favore dei più grandi va invece l’ulteriore criterio secondo il quale un membro del Consiglio europeo o del Consiglio può <chiedere che il Consiglio europeo o il Consiglio adotta un atto a maggioranza qualificata, si verifica che gli Stati membri che compongono tale maggioranza qualificata rappresentino almeno il 62% della popolazione totale dell’Unione. Qualora tale condizione non sia soddisfatta, la decisione non è adottata>.
Questa soglia demografica che condiziona il raggiungimento della maggioranza qualificata risulta in realtà utile solo per la Germania perché solo lei ha la possibilità di creare, con altri, minoranza di blocco. Inoltre la nozione di <popolazione totale dell’Unione> rinvia alla popolazione residente nel territorio di ciascuno Stato membro, che sembra per il momento avvantaggiare ulteriormente la Germania (e gli altri paesi di tradizionale immigrazione, come Francia e Regno Unito) più di quanto non avrebbe fatto una nozione di popolazione basata sul criterio della cittadinanza.
Come si è detto a partire dal 2014 il sistema di maggioranza qualificata sarà sostituito da un meccanismo di doppia maggioranza che prevede che la maggioranza qualificata sia raggiunta quando una delibera del Consiglio europeo o del Consiglio ottiene il voto favorevole di almeno il 55% degli Stati membri, che comprendo almeno 15 di loro e rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione, fermo restando che la minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro membri del Consiglio europeo o del Consiglio, altrimenti la maggioranza qualificata si considera raggiunta anche se quelle soglie non sono rispettate.
Indipendentemente dalle modifiche del meccanismo di voto a maggioranza qualificata, sull’effettivo ricorso ad esso da parte del Consigli ha fortemente pesato il cosiddetto Compromesso di Lussemburgo con il quale i governi degli Stati membri previdero nel 1966 la possibilità di un rinvio dell’adozione a maggioranza qualificata di una delibera del Consiglio nel caso in cui uno Stato membro invocasse il pregiudizio di <propri interessi molto importanti>. Interpretato nella pratica come un diritto di veto, il Compromesso di Lussemburgo ha impedito che si procedesse a maggioranza qualificata anche nei casi in cui esse era formalmente prevista dai Trattati. Dall’altra parte, è prassi costante e indipendente dal Compromesso di Lussemburgo, che in seno al Consiglio, evitando di mettere in minoranza Stati Membri, si cerchi comunque in consenso più largo intorno ad ogni decisione, anche quando i Trattati ne prevedano l’adozione a maggioranza qualificata.
Meccanismi diretti a tener conto delle difficoltà di singoli Stati membri di fronte a decisioni a maggioranza del Consiglio sono previsti formalmente anche nei Trattati; operano in modo analogo al Compromesso di Lussemburgo. Per esempio nel settore della sicurezza sociale uno Stato membro che lamenti la possibile lesione dei propri interessi fondamentali può appellarsi al Consiglio europeo contro una proposta di atto legislativo dell’Unione, azionando il <freno di emergenza>.
Di fronte alla crescente difficoltà di amalgamare minoranza di blocco a seguito dei successivi allargamenti, un meccanismo fu formalizzato da una decisione del Consiglio adottata in occasione dell’adesione di Austria, Finlandia e Svezia, e nota come <Compromesso di Ioannina> e prevedeva che quando un gruppo di membri del Consiglio avesse espresso un numero di voti contrari ad una decisione, si consistente, ma comunque non suscettibile di costituire una minoranza di blocco, il Consiglio avrebbe fatto <tutto il possibile per raggiungere una soluzione soddisfacente che potesse essere adottata> con un consenso più ampio. Il Trattato di Lisbona ha fatto <rinascere> il Compromesso di Ioannina prevedendo in una dichiarazione a partire dal 2014 un meccanismo analogo: nei casi in cui in presenza di una quasi minoranza di blocco il Consiglio è tenuto a proseguire le discussioni alla ricerca di una soluzione soddisfacente che tenga conto delle preoccupazioni espresse dagli Stati membri che si oppongono ad una sua delibera.
Il Parlamento europeo
E’ l’istituzione attraverso cui il principio di democrazia si esprime a livello dell’ordinamento dell’Unione europea. Esso è composto da rappresentanti dei cittadini degli Stati membri eletti a suffragio diretto. È proprio la partecipazione del Parlamento europeo al processo decisionale comunitario che garantisce la valenza democratica di tale processo, quella partecipazione <riflette un fondamentale principio della democrazia, secondo cui i popoli partecipano all’esercizio del potere per il tramite di una assemblea rappresentativa>.
Il livello del coinvolgimento del Parlamento europeo varia da una semplice consultazione sulle proposte di atti ad una vera e propria condivisione del potere normativo con il Consiglio. Quanto poi al settore della politica estera e di sicurezza comune, il suo ruolo è quasi inesistente: in caso si una consultazione di singoli atti è previsto che <l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza consulta regolarmente il Parlamento europeo sui principali aspetti e scelte della politica di sicurezza e di difesa comune e lo informa dell’evoluzione di tali politiche>; sempre l’Alto Rappresentante provvede <affinchè le opinioni del Parlamento europeo siano debitamente prese in considerazione>.
Il carattere democratico-rappresentativo del Parlamento europeo si esprime anche in un ruolo di controllo politico che i Trattati gli riservano. Ne è destinataria in particolare la Commissione: il Parlamento da un lato partecipa alla sua nomina, dall’altro ha un potere di censura nei suoi confronti; il Parlamento o singoli suoi membri possono rivolgerle interrogazioni. Dal canto suo la Commissione presenta ogni anno al Parlamento una relazione generale sull’attività dell’Unione. Interrogazioni e (raccomandazioni) possono essere rivolte anche al Consiglio e all’Alto rappresentante; quest’ultimo è tenuto ad informare regolarmente il Parlamento degli sviluppi della politica estera e di sicurezza comune; analogo obbligo è posto al Consiglio europeo che deve presentare una relazione dopo ciascuna delle sue riunioni.
Un potere più generale di controllo è esercitato dal Parlamento europeo anche attraverso gli strumenti di inchiesta e del mediatore europeo. Il primo consente di costruire, d’ufficio o sulla base di petizioni rivoltegli dai cittadini dell’Unione o persone fisiche o giuridiche residenti in uno Stato membro, commissioni di inchiesta per esaminare denunce di infrazione o di cattiva amministrazione nell’applicazione del diritto dell’Unione. Il mediatore europeo invece è un organo permanente nominato dallo stesso Parlamento, e competente ad esaminare, su richiesta, casi di cattiva amministrazione imputabili a istituzioni o organi dell’Unione.
Esso partecipa direttamente al procedimento di formazione a approvazione del bilancio dell’Unione.
Il numero dei membri del Parlamento non può essere superiore a 751 (750 più il presidente), anche se ora ulteriori 18 membri porteranno il numero complessivo a 754.
La ripartizione del seggi tra gli Stati membri riflette anche a livello di deliberazioni del Parlamento, come in Consiglio, il diverso peso di ciascuno Stato. Il criterio di ripartizione è qui in primo luogo demografico, cioè il numero dei parlamentari spettanti a ciascun paese membro è commisurato alla popolazione dello stesso, è questo non significa che tutti gli Stati hanno identica proporzione tra i parlamentari europei eletti e la rispettiva popolazione: <la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia minima di sei membri> ed un tetto massimo di 96. Se si dovesse rispondere ad una stretta proporzionalità, la necessità di assicurare una rappresentanza parlamentare agli Stati più piccoli costringerebbe ad assegnare a quelli più grandi un numero di seggi troppo alto. Quindi basati sul principio della proporzionalità degressiva è la ripartizione dei seggi, allo stato attuale: 99 seggi alla Germania e per finire 5 a Malta, quest’ultima ha un deputato per ogni 80.00 abitanti, mentre la Germania uno per ogni 830.000 abitanti.
Nei nuovi Trattati la ripartizione dei seggi è lasciata ad una decisione del Consiglio europeo, da prendere all’unanimità, sempre nel rispetto del principio di proporzionalità degressiva, su iniziativa ed approvazione del Parlamento europeo. La corrispondenza tra seggi al Paramento e popolazione di una Stato membro non deve far credere che la rappresentatività dei parlamenti europei si fondi sul principio di nazionalità; in un seggio spettante ad uno Stato membro può essere eletto un cittadino di un altro Stato membro, o all’elezione di parlamentari di uno Stato partecipino cittadini degli altri Stati: si riconosce ai cittadini degli Stati membri, in quanto <cittadini dell’Unione>, il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni europee anche in Stati diversi dal proprio.
Le elezioni europee si svolgono a suffragio universale diretto, originariamente si sarebbe dovuta stabilire una procedura elettorale uniforme, ma in l’impossibilità di trovare un accordo si sono indicati alcuni <principi elettorali comuni a tutti gli Stati membri>, consistenti in realtà in alternative lasciate alla scelte degli stessi Stati: questi possono optare per un sistema loro, quindi la procedura elettorale rimane perciò disciplinata in ciascuno Stato membro dalle disposizioni nazionali.
Per quanto riguarda l’incompatibilità dei parlamentari europei vanno segnalate quelle con il mandato di parlamentare nazionale e con la partecipazione ad un governo nazionale o ad altra istituzione dell’Unione.
Il Parlamento europeo è eletto per 5 anni, all’inizio di ogni sua legislatura esso provvede a nominare tra i suoi membri il presidente e vicepresidenti, i quali rimangono in carica per due anni e mezzo. I membri del Parlamento si accorpano per gruppi politici, per la cui costituzione sono richiesti, un numero minimo di componenti, la provenienza degli stessi da più di uno Stato membro e l’esistenza tra loro di affinità politiche.
L’attività dei parlamentari si divide tra le commissioni parlamentari e la sessione plenaria, cui unicamente spetta il potere deliberativo che avviene a maggioranza dei suffragi espressi. Regole differenti sono previste per l’approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti della Commissione (maggioranza di due terzi dei voti espressi e maggioranza dei membri) e per esprimere il parere su una domanda di adesione di un nuovo Stato membro (maggioranza assoluta). I lavori parlamentari si ripartiscono tra Francia, Strasburgo dove si tengono in un anno dodici sedute plenarie ordinarie, e Bruxelles dove si svolgono le riunioni delle commissioni e dei gruppi politici e alcune brevi sedute plenarie supplementari. Il Segretariato è a Lussemburgo.
La Commissione
Si assommano nella Commissione più competenze, che essa è chiamata ad esercitare rispetto a tutti i settori di attività dell’Unione, con la sola eccezione della PESC dove la funzioni sono assolte dall’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Ad esse spetta un ruolo determinante nell’attività normativa dell’Unione, il quale si esprime nella partecipazione alla formazione degli atti del Consiglio e del Parlamento europeo e nell’adozione di atti normativi propri.
Quanto alla partecipazione alle decisioni altrui, grazie al potere di iniziativa legislativa che i Trattati riconoscono in via esclusiva alla Commissione; non solo tale potere è condizionante dell’avvio del procedimento di adozione di un atto – il Consiglio e il Parlamento europeo non possono deliberare se non a partire da una proposta della Commissione – ma anche successivamente il Consiglio non può discostarsi dalla proposta della Commissione se non votando all’unanimità anche dove è prevista la maggioranza qualificata per l’adozione di quel determinato atto. La Commissione può modificare in qualsiasi momento la propria proposta iniziale. Con il risultato che, a partire proprio dal potere di iniziativa, essa svolge un ruolo attivo svolgendo un negoziato in seno al Consiglio.
Altrettanto importante è il potere normativo diretto della Commissione, anche se i Trattati glielo attribuiscono in casi limitati, in realtà la Commissione finisce per disporne ampiamente per via del ricorso frequente che gli atti adottati dal Consiglio e dal Parlamento fanno ala delega alla stessa Commissione dell’emanazione di successive misure di integrazione o applicazione degli atti in questione.
È attribuito alla Commissione un generale potere di esecuzione del diritto, che esercita: sia sul piano dell’applicazione <amministrativa> degli atti dell’Unione sanzionando, in alcuni casi, direttamente i comportamenti contrari al diritto dell’Unione; sia su quello della vigilanza rispetto alla corretta osservanza delle norme dell’Unione da parte dei destinatari delle stesse, detenendo il potere di portare dinnanzi alla Corte uno Stato membro inadempiente agli obblighi che gli sono posti da quelle norme.
È alla Commissione che spetta la rappresentanza dell’Unione sulla scena internazionale nei settori della PESC e per la negoziazione degli accordi con Stati terzi.
La somma delle competenze da alla Commissione una responsabilità determinante nell’orientare l’azione legislativa dell’Unione, svolgendo inevitabilmente un ruolo di impulso e di indirizzo dell’attività normativa di questa. È definita dai Trattati come espressione e garante dell’interesse generale dell’Unione.
La Commissione è un organo di individui che, designati dai governi degli Stati membri, esercitano le loro funzioni <in piena indipendenza>, non sollecitando né accettando <istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo>.
Le successive modifiche apportate alla procedura di nomina della Commissione hanno allentato l’attaccamento tra i suoi membri e gli Stati membri di provenienza; oggi il ruolo dei governi nazionali si limita alla proposta dei nomi dei futuri commissari, l’elenco completo è di competenza del Consiglio a maggioranza qualificata e <di comune accordo con il presidente> designato, un ruolo determinante è giocato dal Parlamento europeo che deve approvare la designazione del presidente della Commissione a maggioranza qualificata dal Consiglio europeo, quanto quella della Commissione nel suo complesso, prima della nomina ufficiale che spetta nuovamente al Consiglio europeo e ugualmente a maggioranza qualificata. Il Parlamento valuta anche individualmente i singoli commissari che sono tenuti a un’audizione pubblica dinanzi alla commissioni parlamentari competenti per il loro futuro portafoglio.
Una indiretta limitazione del ruolo dei governi è data dal progressivo riconoscimento al presidente della Commissione di una posizione autonoma e preminente rispetto agli altri membri del collegio. Il presidente (Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza)viene designato dal Consiglio europeo e <eletto> dal Parlamento europeo individualmente; egli ha poi voce determinante nella scelta dei futuri commissari sui cui nomi può esercitare anche il veto (il Consiglio ha bisogno del suo <accordo>), spetta a lui decidere la distribuzione dei portafogli tra i membri della Commissione; è lui che definisce gli orientamenti, decide l’organizzazione interna e nomina i vicepresidenti.
I membri della Commissione sono 27 e rimangono in carica per cinque anni. Il loro numero corrisponde al numero degli Stati membri; rispetto alla precedente regola che consentiva agli Stati più <grandi> di designare due commissari ciascuno, il Trattato di Lisbona stabilisce che <la Commissione fino al 2014 è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro>. Si predeva che a decorrere dal 2014 il numero dei membri dovrebbe riflettere la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri, ma la necessità di superara resistenze di alcuni Stati rispetto al Trattato di Lisbona ha indotto il Consiglio europeo a convenire che la Commissione continuerà anche dopo tale data a <comprendere un cittadino di ciascuno Stato membro a meno che il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità non decida di modificare tale numero>.
La durata del mandato dei commissari è fissata in funzione di quella ugualmente quinquennale della <legislatura> del Parlamento europeo; con l’obiettivo evidente di stabilire un collegamento temporale tra la vita delle due istituzioni. La cessazione anticipata dal mandato di uno o più membri della Commissione può aversi o a seguito dell’approvazione di una mozione di censura da parte del Parlamento europeo e in realtà l’intera Commissione deve abbandonare collettivamente il suo mandato perché non è prevista dal Trattato la censura di singoli commissari, oppure per dimissione volontarie o d’ufficio. Il dubbio riguarda il fatto che la Commissione volontariamente dimissionaria ha limitazioni nella proprie funzioni, il Tribunale ha concluso che <membri dimissionari sono giuridicamente autorizzati a tenuti a esercitare i poteri loro attribuiti sino alla nomina dei loro successori>. I membri della Commissione rimangono in carica fino alla loro sostituzione; unica ipotesi di cessazione immediata è quella delle dimissioni d’ufficio che possono essere decise dalla Corte su istanza del Consiglio o dalla stessa Commissione, quando un membro <non risponda più alla condizioni necessarie all’esercizio delle sue funzioni…o abbia commesso una colpa grave>.
L’organizzazione interna della Commissione ha sede a Bruxelles e si basa su una ripartizione di deleghe tra i diversi commissari, analoga a quella che si ha tra i portafogli di un esecutivo nazionale. A ciascun commissario fanno capo, in funzione della delega ricevuta, una o più direzioni generali a competenza settoriale. Le decisioni imputabili alla Commissione devono essere approvate dal collegio dei commissari, il quale delibera <a maggioranza del numero dei suoi membri>, in virtù del principio di collegialità che riposa sull’uguaglianza dei membri nella partecipazione alla presa di decisione e implica che le decisioni siano prese in comune e che tutti i membri del collegio siano collettivamente responsabili.