Tale trattato, che pure ha apportato modifiche al trattato sull’Unione Europea nel suo insieme, è dunque incide sui tre pilastri, oltre che sulle disposizioni comuni finali, sembra aver deluso le attese quando alla rilevanza e alla portata delle modifiche da esso introdotte, in particolare quanto all’assenza di una spinta forte nel senso di una accelerazione del processo di integrazione. Il trattato di Amsterdam è soprattutto noto per aver proceduto ad una rinumerazione di tutti gli articoli dei Trattati esistenti, dunque sia del trattato sull’Unione Europea, sia del trattato CE. Non è poco, se solo si considerano le difficoltà oggettive che la rinumerazione determina, specie nella lettura delle norme della giurisprudenza pre-Amsterdam.
Con il trattato di Amsterdam sono state apportate modifiche al trattato sull’Unione Europea nelle sue tre parti, dunque sia per quanto riguarda il primo pilastro (Comunità), sia il secondo (PESC), sia il terzo (che assume il nome di “cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”).
Oltre all’articolo sei, va segnalata l’introduzione dell’articolo sette, la cui novità consisteva nel fatto che il Consiglio, nella sua composizione dei capi di Stato o di governo, poteva constatare (all’unanimità) l’esistenza di una violazione grave e persistente dei diritti dell’uomo da parte di uno Stato membro. A seguito di tale constatazione il Consiglio può, a maggioranza qualificata, decidere di sospendere alcuni dei diritti dello Stato in questione, diritti derivanti dall’applicazione del trattato, compreso il diritto di voto. Lo stesso Consiglio può successivamente modificare o revocare le misure adottate.
La novità di maggior rilievo è stata sicuramente, tuttavia, l’introduzione del titolo IV (articoli da 61 a 69) relativo ai “visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone”, materia prima collocata nell’ambito del terzo pilastro (cooperazione in materia di giustizia affari interni), qual è inserita Maastricht, e ormai comunitarizzata.
Le modifiche alla PESC (secondo pilastro) sono state alquanto marginali, nel senso che ci si è limitati a rafforzare la politica comune attraverso strategie comuni (decise dal Consiglio europeo) e azioni comuni adottate dal Consiglio. È stato tuttavia previsto, in prospettiva, che la PESC comprenda anche una politica di difesa comune, che deve essere decisa dal Consiglio europeo.
Di sicuro e maggiore rilievo sono state invece le modifiche apportate al terzo pilastro, che ha cambiato nome, divenendo “cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale”, ed è anche nella sostanza profondamente rinnovato, riguardando solo uno dei settori di competenza prima facenti capo alla “cooperazione in materia di giustizia affari interni”, ma in modo molto più incisivo.
Elemento importante è stata l’attribuzione alla Corte di giustizia della competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità e l’interpretazione delle decisioni-quadro e delle decisioni, sull’interpretazione delle commissioni, nonché sull’interpretazione della validità delle misure adottate in attuazione delle stesse.
La stessa Corte inoltre competente a pronunciarsi sulla legittimità delle decisioni quadro delle decisioni nell’ambito dei ricorsi proposti da uno Stato membro o dalla Commissione. Infine, spetta alla Corte pronunciarsi anche sulle controversie tra Stati membri in merito all’interpretazione e all’applicazione degli atti adottati in materia. Gli atti in questione sono dotati previa consultazione del Parlamento europeo.
Altro elemento di novità è costituito dall’articolo 40 TUE e consiste, alla stessa stregua di quanto previsto dall’articolo 11 del trattato CE, nella cooperazione rafforzata, volta a sviluppare più rapidamente gli obiettivi dell’Unione, ovviamente rispettando quelle che sono le competenze della Comunità. Per il resto, il funzionamento della cooperazione rafforzata è analogo a quello già richiamato per l’articolo 11 CE.
La Corte, infine, ha anche ricevuto la piena competenza ad interpretare gli articoli da 46 a 53 del TUE, ciò che prima le era parzialmente precluso.