La prima disciplina in materia di acquisti degli enti privati era contenuta nella legge Siccardi della 1850, nata per prevenire il fenomeno della manomorta, cioè l’eccessiva concentrazione della ricchezza (specie immobiliare) nel patrimonio degli enti morali. Successivamente, applicando i principi della legge 218/1896, giurisprudenza e dottrina attribuirono un’ulteriore funzione all’autorizzazione degli acquisti degli enti morali, precisando che l’autoritĂ competente dovesse vagliare la convenienza e l’opportunitĂ dell’acquisto.
L’art. 17 cc prevedeva testualmente che “la persona giuridica non può acquistare beni immobili nĂ© accettare donazioni o ereditĂ , nĂ© conseguire legati senza l’autorizzazione governativa./ Senza questa autorizzazione l’acquisto e l’accettazione non hanno effetto”. Tale formulazione aveva diviso dottrina e giurisprudenza in merito alla natura dell’autorizzazione: alcuni ritenevano che l’autorizzazione governativa fosse un requisito di validitĂ del negozio d’acquisto, e che di conseguenza la mancata autorizzazione determinasse la nullitĂ assoluta del negozio d’acquisto o dell’atto di accettazione; per altri invece, l’autorizzazione costituiva una condicio iuris, necessaria non per l’esistenza ma solo per l’efficacia dell’acquisto. Secondo quest’ultimo orientamento, l’accettazione e l’acquisto erano in uno stato dipendenza fino a quando non interveniva l’autorizzazione che operava retroattivamente. Tale teoria trovava la sua conferma proprio nell’articolo 17, il quale parlava esplicitamente di efficacia.
La Corte di Cassazione aveva inoltre stabilito che l’autorizzazione ex art. 17 non fosse necessaria nell’ipotesi di acquisto effettuato da parte di un ente non riconosciuto: infatti, la responsabilitĂ personale e solidale di coloro che agivano per tali enti faceva venir meno quella ragione di tutela del credito che giustifica la regola dell’autorizzazione per la lpersona giuridica riconosciuta, la cui responsabilità è limitata al patrimonio sociale. Era inoltre stato ritenuto inapplicabile l’art. 17 cc nel caso di acquisti immobiliari coattivi e per gli acquisti a titolo originario, in particolare per quelli avvenuti a titolo di usucapione.
Al di lĂ delle dispute in merito alla natura dell’autorizzazione, l’ art. 17 era stato oggetto di numerose critiche. Si sottolineava infatti, che il fenomeno della mano morta era anacronistico e che l’autorizzazione prescritta per gli acquisti comportava una complicazione nella vita dell’ente, considerata la lentezza della burocrazia italiana a concedere le autorizzazioni. A tal proposito il legislatore intervenne con la l. 241/90, stabilendo che il rilascio dell’autorizzazione doveva intendersi accolto qualora l’amministrazione competente non comunicasse all’interessato entro 30 giorni il provvedimento di diniego (ipotesi di silenzio-assenso).
Successivamente, l’abrogazione dell’art. 17 costituì , insieme al passaggio da un sistema di riconoscimento amministrativo ad un sistema normativo, e al trasferimento della competenza in materia di controlli dal giudice amministrativo a quello ordinario, uno dei punti fondamentali della riforma del ministro Cassese; riforma che non ebbe seguito a causa di parere contrario del Consiglio di Stato, il quale stabilì che l’abrogazione dell’ art. 17 avrebbe comportato, attraverso le persone giuridiche, fenomeni di accumulo di patrimoni anche di possibile riciclaggio di proventi del crimine.
L’art. 13 della legge 127/97 ha definitivamente previsto l’abrogazione dell’art. 17 cc, nonchĂ© delle altre disposizioni che prescrivono autorizzazioni per l’acquisto di immobili o per la accettazione di donazioni, ereditĂ e legati da parte di persone giuridiche, associazioni e fondazioni.
Con l’abrogazione dell’art. 17 cc si pose il problema se fossero stati tacitamente abrogati anche gli artt. 600 e 786 cc, i quali rispettivamente sancivano che le disposizioni e le donazioni a favore di un ente non riconosciuto non avessero efficacia se entro un anno dall’accettazione l’ente non proponesse istanza per ottenere il riconoscimento.
Secondo parte della dottrina l’abrogazione dell’ art. 17 non implicava anche quella degli artt. 600 e 786, poichĂ© mentre l’art. 17 costituiva una condicio iuris di efficacia di un acquisto (a titolo derivativo, oneroso e gratuito) effettuato da un ente riconosciuto, gli artt. 600 e 786 cc costituivano un vero e proprio limite alla capacitĂ giuridica degli enti non riconosciuti.
La dottrina contraria opponeva, a supporto della tesi dell’abrogazione tacita, la legge quadro 266/91 e il d.lgs 460/97 che permettevano, rispettivamente alle organizzazioni di volontariato e alle ONLUS [organizzazioni non lucrative di utilitĂ sociale], di accettare donazioni e lasciti testamentari senza doverla preventivamente acquistare la personalitĂ giuridica attraverso il riconoscimento.
Il problema è stato in seguito risolto con l’esplicita abrogazione degli artt. 600 e 786 cc da parte della legge 192/00, che ha liberalizzato il sistema degli acquisti da parte di tutti gli enti morali.