La precedente disciplina dettata dall’ art. 12 cc, stabiliva che le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistassero personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto del presidente della Repubblica o, per gli enti la cui attività era esercitata nell’ambito della provincia, con decreto del prefetto (competenza successivamente delegata alle Regioni). Il legislatore del 42 si era orientato verso un sistema concessori o, per cui il riconoscimento consisteva in un atto amministrativo pienamente discrezionale, con il quale l’autorità governativa valutava l’opportunità dell’iniziativa e il merito dell’operazione del privato. Questa scelta ha dato vita a molti contrasti, in particolare tra l’orientamento del Consiglio di Stato, che aveva affermato la piena discrezionalità dell’autorità amministrativa nel concedere o meno il riconoscimento, e la dottrina contraria, che sosteneva che il controllo dovesse limitarsi alla verifica della sussistenza di un valido atto costitutivo, della possibilità e liceità dello scopo, della causa non lucrativa e alla valutazione della sufficienza del patrimonio destinato all’ente, senza la possibilità di conferire o negare il riconoscimento per ragioni di opportunità. A ben guardare quest’opinione trovava supporto proprio in una lettura più attenta delle decisioni del Consiglio di Stato, dalla quale si deduce che i casi in cui il provvedimento concessorio era stato negato riguardavano, in linea di massima, patrimoni insufficienti, numero esiguo degli associati oppure un fine troppo generico o già realizzato da altro ente.
Il procedimento per il riconoscimento aveva inizio con una domanda, accompagnata da copia autentica dell’atto costitutivo, dallo statuto ed altri documenti da cui risultasse lo scopo dell’ente e i mezzi patrimoniali per provvedere di punto il decreto di riconoscimento poteva anche essere concesso dall’autorità governativa implicitamente, qualora dalla stessa autorità competente per concedere il riconoscimento, fosse emanato un provvedimento che presuppone essere necessariamente la qualifica di persona giuridica (ad esempio nel caso di autorizzazione per l’acquisto degli immobili). Le insormontabili lungaggini burocratiche necessarie al riconoscimento spinsero il legislatore a provvedere, dapprima con la l. 241/90, fissando in 30 giorni il termine massimo in cui concludere il procedimento amministrativo, e successivamente con la l. 537/93, che avrebbe dovuto definitivamente trasformare l’autorizzazione amministrativa ha dato discrezionale in mero controllo di legalità. Quest’ultimo progetto però non ebbe seguito per il parere negativo espresso dal Consiglio di Stato che ravvisò nell’art.2 di tale legge un eccesso di delega.
In questo contesto si inserisce il dpr 361/00, recante il regolamento di semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento di persone giuridiche private, in ottemperanza della l. 59/97, legge con cui si è attuato il cosiddetto “federalismo amministrativo”. Tale legge, preceduta da due importanti interventi legislativi (l. 142 e 241 del 90) volti al riconoscimento delle autonomie territoriali e al decentramento dell’amministrazione per una sua maggiore efficienza, costituisce il momento conclusivo di un procedimento volto ad una migliore ripartizione delle competenze tra le varie articolazioni dello Stato, tramite il conferimento di funzioni amministrative a favore degli enti locali, che sicuramente sono più vicini alle esigenze del cittadino. In materia di enti la realizzazione del principio di decentramento amministrativo viene attuata dal dpr. 361/00, tramite l’acquisizione della personalità giuridica di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato, attraverso l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture.