L’esistenza di un debito senza responsabilità è stata affermata con riferimento alle prestazioni che siano state spontaneamente eseguite da soggetti capaci al fine di adempiere un dovere a doveri di natura morale e sociale. Il creditore non può richiedere l’adempimento in giudizio(debito incoercibile); ma la prestazione non deve essere restituita secondo le regole dettate in materia di ripetizione dell’indebito(2033). Ma il qualificativo(naturali) prevale sul sostantivo(obbligazioni) ed esclude che la discussa scelta del legislatore possa essere interpretata nel senso favorevole alle antiche dottrine delle “obbligazioni civili imperfette”, di per sé minate da una palese ambiguità e da una chiara petitio principii.
Una conferma è costituita dal contenuto della disposizione secondo cui i doveri sono morali e sociali. Il fenomeno delle obbligazioni naturali è giuridico nel nostro sistema; basti guardare all’esecuzione di doveri morali e sociali: quel fatto produce l’effetto dell’irripetibilità. Per ciò che riguarda, invece, la giuridicità dei doveri, la cui esecuzione conduce all’effetto dell’irripetibilità, la risposta varia a seconda del punto di vista che si assume. Il dovere morale o sociale non è trasmissibile a causa di morte. Occorre affermare che non si può parlare di debiti, ancorché senza responsabilità: si tratta di fenomeni giuridicamente rilevanti.
Un primo dubbio di natura letterale si riferisce alla disgiunzione tra morali o sociali. Si domanda se siano sufficienti anche gli imperativi della coscienza individuale; se i doveri del galateo o del costume rientrino nella previsione dell’articolo 2034. L’interpretazione più convincente riferisce i doveri alla morale riconosciuta da una società. La determinazione dell’area delle prestazioni assistite da una doverosità morale, che può anche essere sentita da un individuo purché sia socialmente apprezzabile, è già ampiamente discrezionale e soggetta a mutare nel tempo e nello spazio: è incongruo renderla ancor più inafferrabile.
Tra le decisioni che hanno escluso l’irripetibilità deve tenersi presente il clamoroso caso Evangelisti-Caltagirone. Oggetto: la restituzione delle ingenti somme elargite a un noto uomo politico per finanziare le sue campagne. I giudici respinsero tutti i tentativi di escludere la restituzione: sia l’assunto che fossero ravvisabili gli estremi di altrettante donazioni libere nella forma, avuto riguardo alle condizioni economiche degli interessati, sia che si trattasse di liberalità indirette compiute mediante il rilascio di assegni, sia infine che potesse parlarsi, nell’intimo della coscienza di chi pretendeva la restituzione, dell’esecuzione di doveri morali. Comprensibile è il rifiuto di trasformare una prassi largamente diffusa in un valore riconosciuto nella moralità sociale.
La diffusione della convivenza informale, secondo i valori di coppia stabile con o senza figli, è un dato di libertà valutato ormai in termini di “valore sociale”, con tutti i riflessi che possono derivare nella coscienza degli interpreti e dei legislatori delle famiglie di fatto. L’affermazione di una piena corrispondenza, nel contenuto etico tra il dovere dei conviventi more uxorio e l’obbligo imposto ai coniugi dall’art. 143 tende a farsi esplicito. Qualche dubbio, in merito alla figura della donazione remuneratoria, permane soltanto con riguardo alle prestazioni eseguite dopo la fine della relazione. Le prestazioni di “assistenza”, al di fuori degli schemi legalmente previsti, possono annoverarsi da tempo tra le ipotesi in cui la giurisprudenza ha ravvisato gli estremi del dovere morale o sociale.
Ancora forte è la tendenza dei giudici a rimanere nel solco di alcune decisioni che, per ragioni storiche, hanno avuto una nota di tipicità. Tra le figure del vecchio codice in cui era esplicito il diniego dell’azione del beneficiario della prestazione(dote ai figli, rispetto dei debiti di giuoco e il versamento degli interessi non convenuti o eccedenti la misura convenuta) la casistica ancora onora dell’attributo di obbligazione naturale, con tutte le conseguenze. Gli interessi sono ripetibili, secondo le corti, quando sono usurari, altrimenti sono irripetibili. I nostri giudici hanno avvertito i riflessi della diversa tradizione che trovò espressione nell’art. 1432 ABGB, ove è sancita l’irripetibilità di ciò che è stato pagato in esecuzione di un contratto invalido solo per difetto di forma.