Per “diritto del lavoro della crisi” s’intendono quelle leggi che, a partire dal 1975, per affrontare la recessione, si sono poste in misura prevalente l’obiettivo di favorire la difesa e la crescita della occupazione (prevedendo contratti a tempo parziale, di formazione, contratti di solidarietà ed una c.d. politica dei redditi per la riduzione del tasso d’inflazione).

Si crea una tendenza verso una deregolamentazione del mercato del lavoro, e quindi all’estensione della stessa autonomia negoziale privata.

Per “deregolamentazione del lavoro” s’intende l’evoluzione della disciplina mediante il rinvio al contratto collettivo.

In questa prospettiva la tutela dell’occupazione prevale sulla tutela della posizione contrattuale debole del lavoratore, pur sempre nel rispetto della dignità sociale.

Negli anni ’80 la flessibilità delle condizioni di lavoro e dell’occupazione e con essa la tecnica del coordinamento tra legislazione e contrattazione collettiva divengono un connotato stabile del sistema del diritto del lavoro: è il cosiddetto garantismo flessibile, punto di equilibrio tra flessibilità organizzativa dell’azienda e tutela individuale e collettiva del lavoratore, accompagnato da un rafforzamento dei poteri del sindacato e di tanti diritti dei lavoratori, che assume una funzione di governo dell’economia. Funzione che persegue obiettivi di politica industriale ed insieme di politica dei redditi, in una logica di concertazione tra i pubblici poteri e parti sociali (concertare = stabilire in accordo con altri) .

Per “legislazione contrattata” intendiamo la produzione legislativa originata dalla partecipazione dalle parti sociali.

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