L’attuazione della Costituzione domina l’evoluzione del diritto del lavoro nella fase di consolidamento della democrazia e dell’industrializzazione della società italiana e ridimensiona il ruolo di enunciazione delle regole fondamentali di disciplina del rapporto di lavoro, originariamente assegnato dal legislatore al Codice Civile. Dalle norme costituzionali nasce una progressiva erosione dell’area della disciplina del lavoro nel Codice Civile ed alla sua sempre più larga sostituzione con le norme delle leggi speciali e dei contratti collettivi. La maggiore caratteristica del nuovo assetto costituzionale è la liberalizzazione dell’attività sindacale e della contrattazione collettiva.
Durante la storia, si sono evolute due fasi:
nella prima fase si ha un’integrazione della disciplina codicistica, rivolta alla tutela minimale del lavoratore “come soggetto debole” e “bisognoso di protezione”.
la successiva vede una tutela più ampia del lavoratore visto non più soltanto come soggetto debole, ma come soggetto inserito in un rapporto di produzione ed appartenente ad una classe o categoria sociale sottoprotetta
In tal modo si estende la tutela non più solo alle condizioni minime di trattamento, ma alla dignità sociale e quindi alla persona del lavoratore.
Un primo intervento si ha con la disciplina dei licenziamenti individuali (Legge 1966, n° 604) che prevede:
giustificato motivo come limite al potere di recesso dell’imprenditore
nullità dei licenziamenti per motivi politici e sindacali
Sulla medesima linea troviamo la legge n° 300 del 1970: lo Statuto dei Lavoratori.
Esso è altresì denominato legislazione promozionale, poiché promuove l’attività sindacale e la contrattazione collettiva, mirando ad attribuire efficacia immediata ai principi costituzionali ed a garantire il libero svolgimento dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro.