Si può dire che l’obbligazione pecuniaria sia venuta a ricoprire i due massimi settori dei rapporti di diritto privato: essa è presente ab origine nei rapporti di scambio; è il risultato altresì della conversione in valore di scambio di valori d’uso rimasti irrealizzati. Occorre chiedersi se sia il denaro a determinare la peculiarità dell’obbligazione che lo ha per oggetto o se è l’obbligazione ad assegnare una peculiare forma giuridica al denaro. Una risposta appagante non potrebbe essere data né nell’uno né nell’altro.
Le diverse funzioni sembrano corrispondere a quelle del denaro quale strumento di scambio e\o unità di misura dei valori. I giuristi sono molto attenti a distinguere queste funzioni, che danno luogo peraltro a strutture e tecniche diverse, giacché i problemi sollevati ad es. dal denaro quale mezzo di pagamento sono diversi da quelli sollevati dall’esigenza di dare espressione monetaria al valore di beni o di redditi, distinguendosi dunque dalla tematica dei debiti pecuniari quella del ricorso alla moneta per meri fini di valutazione.
La dottrina che si è occupata di obbligazioni pecuniarie si è cimentata nel raffronto tra le obbligazioni pecuniarie e la teoria delle obbligazioni. I termini posti a raffronto sono stati il denaro e l’obbligazione. Tale indirizzo è stato contestato da chi ha osservato che non esiste una nozione di denaro in funzione della teoria dell’obbligazione ma che il problema principale resta quello della forma di denaro e che la diversità dell’obbligazione avente oggetto denaro è diversità dipendente dalla peculiarità dell’oggetto.
Potrebbe ricondursi questa diversità di indirizzi ad una diversità d’angolo visuale, tendendosi, secondo una prima prospettiva, a privilegiare l’analisi della forme di denaro, a prescindere dagli impieghi giuridici cui il denaro è sottoposto e, per contrapposto, secondo altra, a guardare al singolo impiego giuridico del denaro. È naturale che l’inclinazione dei giuristi sia per questa seconda prospettiva.