L’istituto matrimoniale nella Chiesa si fonda su tre elementi essenziali: la capacità, il consenso e la forma. Ma di essi è il consenso ciò in cui risiede sostanzialmente il matrimonio.
Se tutti e tre i requisiti sono presenti allatto della celebrazione, il matrimonio risulta valido, e produce effetti giuridici ai sensi del can. 1134 del Codice Giovanneo-paolino del 25 gennaio 1983 (promulgato in tale data con la Costituzione ApostolicaSacrae disciplinae leges) .
Nel matrimonio canonico è fissato il principio dell’insostituibilità del consenso, secondo tale principio il matrimonio quale consortium coniugale, quale matrimonium in facto esse, come rapporto giuridico eterosessuale ed indissolubile, è posto in essere esclusivamente dal consenso delle parti (che nessun potere umano può supplire) manifestato tra persone capaci di esprimerlo ( matrimonium in fieri ) . Il legislatore quindi attribuisce rilevanza giuridica alle anomalie del consenso, sancendo la nullità del matrimonio quando il consenso presenti difetti o vizi. Nel caso manchi un requisito del matrimonio, e il consenso sia viziato, il matrimonio può essere reso nullo dal Tribunale ecclesiastico. Ciò garantisce il principio di insostituibilità del consenso secondo cui, nelle ipotesi di consenso anomalo, il consenso mancante si dovrebbe supplire ad opera del legislatore.
Nello dottrina canonistica inizialmente mancava una dottrina circa l’essenza del matrimonio, dal momento che si consideravano esclusivamente i fini e le proprietà dell’istituto. Proprio per questo inizialmente ha avuto prevalenza su ogni altro elemento il tema della procreazione ed educazione della prole quale fine primario del matrimonio. Tale prevalenza aveva però posto in secondo piano gli altri elementi relativi all’istituto, quindi si cercò una chiarificazione dell’essenza del matrimonio.
Una prima corrente considerava come essenza del matrimonio la stessa procreazione della prole, ponendosi in netto contrasto con l’ordinamento matrimoniale canonico, in quanto non convalidava un matrimonio in cui non si potesse avere l’attuazione dell’essenza del coniugio stesso a causa della sterilità di uno dei nubenti. Ciò creava una forte contraddizione poiché in caso di sterilità il matrimonio era valido ex can. 1068 § 1, ma in tale coniugio sarebbe mancata l’essenza.
La seconda concezione poneva l’essenza del matrimonio nel compimento dell’ una caro biblica, ossia nell’unione dei due sessi. L’essenza del matrimonio doveva quindi riscontrarsi nella sessualità, argomentazione che contrastava con la validità giuridica accordata ai matrimoni in cui tale unione non avviene per scelta di entrambi i coniugi.
Affinché il matrimonio si costituisca validamente dovrà ritrovarsi nell’atto che lo fa sorgere (matrimonium in fieri) la stessa essenza che si riscontra nel matrimonium in facto esse, pur considerando che nella fase statica (o costitutiva) del matrimonio gli elementi integranti l’essenza non possono configurarsi nello stesso modo della fase dinamica del rapporto matrimoniale.