Il principio della separazione dei poteri, pur se non espressamente enunciato nella nostra Carta costituzionale, è in essa implicitamente incorporato, dal momento che la Corte Costituzionale, con sent. 1/77, lo ha inserito tra i princìpi supremi dell’ ordinamento costituzionale.

È certo, comunque, che la nostra Carta fondamentale delinea in modo molto netto i contorni del potere legislativo e del potere giudiziario (come poteri dai quali è distinto il potere esecutivo-amministrativo). Infatti, la P.A. non può fare le leggi, dato che la funzione legislativa è riservata alle Camere (art. 70) e ai consigli regionali (art. 117); e non può, ovviamente, esercitare la funzione giurisdizionale, perché questa è riservata alla magistratura (nonché al Consiglio di Stato e alla Corte dei Conti). Per altro verso, però, la P.A. è soggetta alla legge, la quale stabilisce le regole di base per l’ organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.); ed è anche soggetta al sindacato dei giudici, ordinari e amministrativi, perché contro i suoi atti è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi (art. 113 Cost.).

Non altrettanto definito è, invece, lo statuto della P.A. Innanzitutto, va detto che non è chiaro se di essa faccia parte il Governo: a prima vista sembrerebbe di no, dal momento che la Costituzione parla del Consiglio dei Ministri e della P.A. in due Sezioni differenti, anche se contenute nello stesso Titolo (quello dedicato al Governo); in realtà, è necessario sottolineare che l’ apparato amministrativo è un appartato complesso, che include al suo interno il Consiglio dei Ministri, i singoli ministeri, le amministrazioni territoriali e gli enti pubblici; ora, che dell’ apparato amministrativo facciano parte anche il Consiglio dei ministri e i singoli ministeri risulta confermato non solo dalla topografia della nostra Costituzione [infatti, sotto il Titolo III, Parte II (del governo) sono contemplati il Consiglio dei ministri, la P.A. e gli organi ausiliari], ma anche dal fatto che al Presidente del Consiglio e ai singoli ministri sono affidati determinati poteri amministrativi: ai sensi, infatti, dell’ art. 95 Cost., il Presidente del Consiglio mantiene l’ unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’ attività dei ministri; questi, dal canto loro, sono responsabili sia collegialmente (per gli atti del Consiglio), sia individualmente (per gli atti dei propri dicasteri).

Lo stesso schema può essere riprodotto in relazione agli enti pubblici e alle amministrazioni territoriali: infatti, sempre ai sensi dell’ art. 95 Cost., gli enti pubblici devono essere vigilati da un ministero e rispondere ad un ministro che, a sua volta, è responsabile di fronte al Parlamento (se si tratta di enti nazionali).

Quanto agli enti territoriali, infine, va detto che ciascuno di essi riproduce al suo interno il rapporto tra politica e amministrazione che l’ art. 95 disegna all’ interno dello Stato (nel rapporto tra Presidente del Consiglio, Consiglio dei ministri e ministri): così, per quanto riguarda la regione, la polarità tra politica e amministrazione si riproduce all’ interno del rapporto tra presidente della giunta regionale, giunta e amministrazione; in relazione, invece, agli enti locali il rapporto è tra il consiglio (organo di indirizzo politico-amministrativo) e la giunta.

Come visto, l’ amministrazione (dal punto di vista dei soggetti) viene nettamente separata dal potere legislativo e dal potere giudiziario; non altrettanto netta, invece, è la riserva dell’ attività amministrativa in favore della pubblica amministrazione. Ora, dal momento che sul punto la Costituzione non dice nulla, si potrebbe addirittura sostenere che gli organi del potere legislativo e di quello giudiziario siano abilitati ad esercitare la funzione amministrativa; ma una tale conclusione non può essere assolutamente accettata e va, di conseguenza, confutata sulla base delle seguenti argomentazioni: in particolare, per quanto riguarda il rapporto con il potere legislativo, occorre evidenziare che, ai sensi dell’ art. 3 Cost., la legge non può operare alcuna distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; pertanto, non è possibile che la legge si faccia provvedimento, proprio perché quest’ ultimo si fonda su quelle condizioni-distinzioni che la legge non può avere (va anche detto, però, che la Corte Costituzionale ha ritenuto ammissibili le leggi-provvedimento: quanto meno le leggi-provvedimento statali).

Per quanto riguarda, invece, il rapporto con il potere giudiziario, nella Costituzione manca un divieto per gli organi giurisdizionali di adottare dei provvedimenti amministrativi: un limite, tuttavia, è rinvenibile nella legislazione ordinaria, che ha sempre vietato al giudice di sostituirsi all’ amministrazione.

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