Premessa
Sin dall’antichità la pubblica amministrazione ha rappresentato un potere (nel senso sociologico e politico del termine) con il quale i cittadini, gli altri poteri pubblici e privati e addirittura il monarca hanno dovuto confrontarsi. Infatti in ogni epoca e momento storico il ruolo giocato dalle pubbliche amministrazioni è stato sempre rilevante, in qualsiasi forma di Stato o di governo che si sia succeduta nel corso dei secoli. Tant’è vero che pur non esistendo un diritto amministrativo come oggi esso è comunemente inteso, ci sono sempre stati apparati di governo e di amministrazione chiamati a giocare ruoli e funzioni oggettivamente rilevanti dal punto di vista del diritto pubblico. Ciò che viene posto al centro dell’attenzione dei giuristi è l’analisi del passaggio da un concetto “antico” dell’amministrazione, quale braccio armato dello Stato o della volontà del monarca, al concetto “moderno” di amministrazione come comparto autonomo ed autosufficiente, disciplinato dal diritto amministrativo.
Alle origini del problema
Tale analisi comincia innanzitutto dalla triade “costituzione – amministrazione – politica” come punto di partenza del processo di formazione dello Stato di diritto. I punti nevralgici di questo processo sono da un lato l’approdo verso costituzioni formali di impianto liberale e, dall’altro, la professionalizzazione delle burocrazie; fenomeni che si influenzano l’un l’altro, poiché la crescita delle burocrazie aumenta la necessità di garanzie formali in favore del cittadino, mentre la moltiplicazione delle funzioni dello Stato richiede apparati amministrativi sempre più articolati specializzati. In quest’ottica la costituzione contribuisce a stabilizzare il sistema, chiarendo e definendo i rapporti tra la “legge” intesa come insieme di prerogative delle assemblee parlamentari, e l’ “indirizzo politico” inteso come potere autoritativo e discrezionale delle pubbliche amministrazioni.