Azione od omissione sono l’aspetto più caratteristicamente umano del fatto penalmente rilevante ma non esauriscono il fatto stesso. Infatti un atto o una omissione avulsi da una situazione spaziale, materiale, personale sono ipotesi di laboratorio senza contatto con la realtà. Quindi occorrerà integrare la condotta con le note che la qualificano e che le attribuiscono il suo significato giuridico sociale. Queste note potranno esser distinte a seconda che riguardino: caratteristiche del soggetto passivo del reato, l’oggetto materiale, lo strumento o il mezzo, il luogo, il tempo della condotta, certe situazioni di fatto o di diritto preesistenti alla condotta. Ci si chiede come il dolo si atteggi rispetto a queste note (che determinano la corrispondenza al tipo descrittivo dell’azione/omissione). Ex 47 l’agente deve sempre qualificarsi questi elementi, quindi ci si chiede se la rappresentazione basta o è necessaria una volizione. Va precisato che noi intendiamo sapere se gli elementi (che sono dati naturalistici/giuridici esistenti indipendentemente dalla condotta) che integrano la condotta rientrino all’interno dell’oggetto della volontà. In base a ciò non stanno nel raggio della volontà ma possono costituire oggetto di una pura attività intellettiva. Quindi chi agisce dolosamente dovrà rappresentarsi il fatto che la cosa mobile di cui si impossessa è altrui, ma non potrà volere tale qualifica giuridica, da lui assolutamente svincolata. C’è allora differenza tra oggetto della volontà e quello della rappresentazione: la condotta deve esser prevista e voluta, gli elementi che la qualificano sono dati in relazione a cui può concepirsi solo un’attività intellettiva. In base a quest’ultima considerazione però sorge un dubbio: stando davanti a elementi esistenti al momento della condotta, sembra richiesta una vera e propria conoscenza. Ma questa specificazione risulta pericolosa: ad esempio io voglio rubare. Nel momento dell’azione è in dubbio se io sappia o no se la cosa gli appartenga ma comunque la prende. In questo caso è chiaro che non si può parlare di “conoscenza” dell’altruità della cosa. Quindi il dolo non sarebbe realizzato se la conoscenza delle note che caratterizzano l’azione è indispensabile per l’esistenza del dolo. Ma a convincerci del contrario arriva il 47 che dice che l’errore esclude il dolo, anche se rimane la colpa (dolo inverso dell’errore). Quindi io agisco in errore? Per capirlo bisogna risalire alla ratio che ha promosso l’imputazione a titolo di dolo. Il fatto che abbia fatto l’azione vuol dire volerlo. Ma questo è un discorso sul dolo eventuale.

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