Il principio di non discriminazione (art. 15 e 16)
L’art. 15 Stat. lav. costituisce la prima ampia consacrazione legislativa del principio di non discriminazione nel rapporto di lavoro: esso si riferisce alle discriminazioni per motivi sindacali, insieme a quelle per motivi politici e religiosi, e per ragioni di sesso, razza e lingua; è opportuno comunque sottolineare la distinzione tra il principio di eguaglianza e il principio di non discriminazione, poiché mentre il primo mira a realizzare una parificazione generale dei trattamenti tra i soggetti appartenenti ad un gruppo, il secondo mira a reprimere ipotesi di disparità legate a specifici motivi vietati. La fattispecie oggetto del divieto di discriminazione nell’art. 15 comprende atti diretti a:
a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nell’assegnazione di. qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari per le ragioni indicate, nonché ogni altro atto o patto in grado di recare altrimenti pregiudizio al lavoratore per gli stessi motivi; sono esclusi solo i meri comportamenti materiali e le semplici manifestazioni di intenzioni, oltretutto per lo più non idonee a ledere gli interessi protetti.
L’art. 16 vieta la concessione da parte del datore di trattamenti economici collettivi a carattere discriminatorio, ossia quei trattamenti più favorevoli corrisposti a gruppi di lavoratori in ragione del loro comportamento sindacale (sono dunque vietati i “premi” corrisposti a lavoratori che non abbiano scioperato o la maggiore retribuzione a coloro che non abbiano partecipato ad un’assemblea).
Nel divieto degli artt. 15 e 16 vanno ricompresi anche gli atti cosiddetti omissivi del datore di lavoro (es. rifiuto di assumere, di promuovere, di concedere trattamenti economici).
 Sindacati di comodo (art. 17)
L’art 17 vieta a tutti i datori di lavoro, imprenditori e non (anche gli enti pubblici) nonché alle loro associazioni (sindacali e di altro genere) “di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori”. Sono sindacati di comodo quelle organizzazioni, promosse o sostenute dai datori di lavoro, per avere un interlocutore all’apparenza antagonistico, ma in realtà addomesticato, con conseguente alterazione della dinamica sindacale. Per quanto riguarda la sanzionabilità del comportamento antisindacale, è scontato il ricorso all’art. 28, ma è altresì dubbio se il giudice possa spingersi sino ad una radicale eliminazione del gruppo costituitosi in violazione dell’art. 17; la tesi contraria si fonda sul riconoscimento che il gruppo sindacalmente non genuino gode pur sempre della tutela dell’art. 18 Cost. , in quanto manifestazione di una più generale libertà di associazione.