Come detto, l’appello rappresenta un’impugnazione limitatamente devolutiva che permette di controllare tutti quei provvedimenti presi dal giudice in tema di misure cautelari personali che non sono sottoponibili a riesame (appello come mezzo di impugnazione residuale). L’organo competente a decidere sull’appello è il tribunale del capoluogo del distretto di Corte di appello nel quale ha sede il giudice che ha disposto la misura (art. 309 co. 7).
Possono presentare appello:
- il pubblico ministero, che non dispone dello strumento del riesame:
- contro l’ordinanza del giudice che ha applicato una misura cautelare personale meno grave di quella da lui richiesta;
- contro l’ordinanza che ha concesso la revoca o la sostituzione della misura su richiesta dell’imputato;
- l’imputato ed il suo difensore, contro i provvedimenti cautelari personali diversi da quelli che applicano per la prima volta una misura coercitiva.
L’appello deve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro dieci giorni dall’esecuzione o notificazione del provvedimento (art. 310 co. 2).
Il procedimento previsto comporta che il tribunale della libertà debba decidere entro venti giorni (termine ordinario). Per il resto le modalità di svolgimento del procedimento sono simili a quelle previste per il riesame (art. 310).
La differenza principale consiste nel fatto che la richiesta di appello deve precisare i motivi per i quali il soggetto interessato ritiene che il provvedimento debba essere annullato o modificato. L’appello è un’impugnativa ad effetto parzialmente devolutivo proprio perché il controllo esercitabile dal tribunale è limitato a quei punti del provvedimento che sono oggetto dei motivi di doglianza esporti nella dichiarazione.