Esame delle parti
Il cosiddetto esame delle parti costituisce il mezzo di prova mediante il quale le parti private possono contribuire all’accertamento dei fatti nel processo penale.
Le regole alla base della materia sono fondamentalmente tre:
- il dichiarante non ha l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità né di essere completo nel narrare i fatti (art. 209 co. 2);
- le dichiarazioni sono rese secondo le norme dell’esame incrociato;
- le domande devono riguardare i fatti oggetto di prova.
L’esame delle parti viene sottoposto a regimi giuridici diversi in ragione della persona che rilascia la dichiarazione:
- l’imputato, chiamato a deporre nel proprio procedimento sul fatto a lui addebitato;
- le parti diverse dall’imputato, ossia il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e la parte civile che non debba essere esaminata come testimone;
- gli imputati in procedimenti connessi o collegati, chiamati a deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui.
Esame dell’imputato
L’esame dell’imputato ha luogo soltanto se questo lo chiede (richiesta) o vi consente quando è chiesto da una parte (consenso). Il mancato consenso, pur non potendo essere valutato dal giudice in senso negativo per l’imputato, sortisce un particolare effetto: quando la difesa afferma l’esistenza di un fatto, infatti, il rifiuto di sottoporsi all’esame opposto dall’imputato non permette a questi di adempiere all’onere della prova, ossia di convincere il giudice.
L’imputato sottoposto all’esame, non essendo vincolato dall’obbligo di rispondere secondo verità, può dire il falso senza incorrere in conseguenze penali fintanto che risulta coperto dalla causa di non punibilità prevista dall’art. 384 co. 1 c.p. Al contrario, può essere punito:
- se incolpa di un reato un’altra persona, sapendola innocente (calunnia ex art. 368 c.p.);
- se afferma falsamente essere avvenuto un reato che nessuno ha commesso (simulazione di reato ex art. 367 c.p.).
L’aver detto il
falso, peraltro, anche quando non costituisce un fatto punibile, può comunque provocare conseguenze processuali (es. se risulta che l’imputato ha mentito da quel momento egli può essere ritenuto non credibile).
Nel corso dell’esame l’imputato, valendosi del cosiddetto diritto al silenzio, può rifiutarsi di rispondere ad una qualsiasi domanda. In tal caso del suo silenzio deve essere fatta menzione nel verbale (art. 209 co. 2), disposizione questa dalla quale si è dedotto che il silenzio dell’imputato può essere valutato dal giudice come argomento di prova: il silenzio, infatti, può dimostrare che l’imputato vuole nascondere qualcosa.
L’imputato ha anche un altro privilegio, dal momento che può affermare di aver sentito dire qualcosa senza dover indicare la fonte da cui ha appreso l’esistenza del fatto (condizione di utilizzabilità ex art. 195). Tale dichiarazione, comunque, può anche non essere ritenuta attendibile dal giudice.
Esame delle parti diverse dall’imputato
L’esame del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria e della parte civile che non debba essere esaminata come testimone si svolge con regole identiche a quelle che valgono per l’imputato, salvo un particolare: se le parti affermano di aver sentito dire, valgono le ordinarie condizioni di utilizzazione previste dall’art. 195.
L’applicazione del regime ordinario dell’esame delle parti dimostra che l’interesse meramente civilistico rispetto all’esito del procedimento penale viene equivalso all’interesse dell’imputato ad evitare la pena.