La figura del reato continuato venne introdotta per mitigare l’eccessiva severità prevista dalle legislazioni in tema di concorso di reati. Attualmente la funzione dell’istituto è quella di introdurre un trattamento penale più mite, il quale trova la propria ratio nel fatto che nel reato continuato la riprovevolezza complessiva dell’agente viene ritenuta minore che nei normali casi di concorso. L’art. 81 co. 2, ampliato nella sua portata dal d.l. n. 99 del 1974, dispone che alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa (reato continuato omogeneo) o di diverse disposizioni di legge (reato continuato eterogeneo).

Tre sono i requisiti del reato continuato:

  1. il medesimo disegno criminoso.
  2. le più violazioni di legge.
  3. la pluralità di azioni od omissioni.

 Medesimo disegno criminoso (requisito I)

Questo primo requisito rappresenta il coefficiente psicologico che, legando i diversi episodi criminosi, contraddistingue ontologicamente il reato continuato dal concorso dei reati. Il codice vigente, col fondare la continuazione sull’identità del disegno criminoso e con l’inserire l’inciso anche in tempi diversi , sembrerebbe negare ogni rilevanza al fattore temporale e concepire la continuazione anche tra passi criminosi distanziati, senza limite, nel tempo. Come tuttavia è vero che la vicinanza cronologica o la stessa contestualità tra i reati non sono, di per sé, necessari indizi dell’esistenza del medesimo disegno criminoso, così è parimenti vero che la notevole distanza di tempo è indizio negativo, poiché esiste una stretta indipendenza tra la persistenza dell’identico disegno criminoso ed il decorrere del tempo. Il fattore cronologico, quindi, resta pur sempre un limite logico ed un indice probatorio, pur se non decisivo, del reato continuato.

Per aversi il medesimo disegno criminoso, è necessaria e sufficiente l’iniziale programmazione e deliberazione, generiche, di compiere una pluralità di reati, in vista del conseguimento di un unico fine prefissato sufficientemente specificato:

  • la genericità della programmazione e della deliberazione consente a queste di restare aperte agli adattamenti del caso.
  • l’unità del fine, mentre sul piano sistematico consente di differenziare il reato continuato dal concorso di reati, sul piano razionale appare costituire il coefficiente psicologico realmente idoneo a giustificare la minore riprovevolezza complessiva della continuazione. Protesi verso un unico fine, infatti, i singoli atti di volontà, corrispondenti a singoli episodi criminosi, perdono la loro individualità, venendo quindi assorbiti in un’unica motivazione a delinquere.

Circa la compatibilità del disegno criminoso con l’aggravante dell’art. 61 n. 2, il problema che prima della riforma del 1974 si fondava solo rispetto al reato continuato omogeneo, ora si pone anche rispetto al reato omogeneo, mettendo in dubbio la stessa sopravvivenza della circostanza. I fautori della compatibilità assoluta non sono mai riusciti a dimostrare l’esistenza di una reale differenza ontologica tra le due situazioni psicologiche, le quali, tuttavia, producono effetti giuridici di segno perfettamente opposto: un’attenuazione nei reati continuati e un aggravamento nei reati complessi.

L’identità del disegno criminoso viene meno quando tra l’uno e l’altro fatto criminoso siano intervenute circostanze che abbiano indotto il reo a modificare il piano criminoso nella sua essenza sopra precisata, per cui il passaggio ad ulteriori azioni richieda un previo superamento dei nuovi motivi inibitori e, quindi, un nuovo atteggiamento antidoveroso del soggetto.

L’attività processuale (es. denuncia, arresto, condanna), comunque, rappresenta una controspinta con effetto non necessariamente interruttivo del disegno criminoso, la persistenza o meno del quale può dipendere da vari fattori (es. determinazione, vis coesiva del movente). Il problema dei rapporti tra giudicato e continuazione, pertanto, appare correttamente risolvibile distinguendo tra:

  • l’ipotesi di reati commessi anteriormente e reati commessi successivamente al giudicato, che va risolta con riferimento non all’interruzione del disegno criminoso, che può anche non verificarsi, ma all’esigenza generalpreventiva, la quale, ammettendo la continuazione, resterebbe frustrata, perché si creerebbe la licenza di commettere reati a pena ridotta.
  • l’ipotesi di reati tutti commessi anteriormente al giudicato, rispetto alla quale l’opinione praticamente unanime della dottrina ammette la possibilità della continuazione.

 Più violazioni di legge (requisito II)

Il fatto che, con la riforma del 1974, possa aversi reato continuato con più violazioni sia della stessa disposizione di legge sia di diverse disposizioni di legge non ha inficiato l’imprescindibile esigenza, attinente alla stessa essenza dell’istituto, di una stretta interdipendenza tra l’identità del disegno criminoso e una certa omogeneità funzionale delle violazioni.

In tanto è configurabile un disegno criminoso unitario, in quanto le violazioni, pur se di leggi diverse, si presentano tutte come mezzi per conseguire il fine ultimo cui tende il soggetto.

 Pluralità di azioni od omissioni (requisito III)

Tra i requisiti del reato continuato, l’art. 81 richiede anche quello delle più azioni od omissione, requisito questo che non attiene all’essenza razionale di tale istituto, come comprova il fatto che lo stesso legislatore ha ritenuto di prescinderne nel settore tributario (l. n. 4 del 1929).

Il reato continuato, comunque, non può non ammettersi pure nell’ipotesi in cui l’agente, in esecuzione di uno stesso disegno criminoso, compie più reati con una sola condotta. Non in base, però, ad una qualsiasi interpretazione dell’art. 81, come ha ritenuto la Corte costituzionale, bensì attraverso l’applicazione analogica di tale articolo. Dell’analogia, infatti, ricorrono tutti i requisiti:

  • perché trattasi di analogia in bonam partem.
  • perché l’ipotesi in esame presenta l’eadem rato di disciplina del reato continuato con pluralità di condotte.
  • perché, nell’ipotesi di identità del disegno criminoso, il disposto dell’art. 81 co. 2 è del tutto regolare.

Tale soluzione appare ancor più coerente se si tiene presente che l’art. 81 co. 2, parlando di anche in tempi diversi , ammette implicitamente la continuazione pure nell’ipotesi di più condotte compiute nello stesso tempo. In questo caso, comunque, la simultaneità è concepibile, oltre che tra comportamenti omissivi, anche tra comportamenti attivi.

 Circa la natura giuridica del reato continuato, è la stessa ratio dell’istituto che impone di considerarlo come un reato unico, a certi effetti, e come più reati, ad altri effetti. Solo in questo modo, infatti, è possibile garantire ad esso, sotto tutti i profili, quel trattamento privilegiato che è imposto dalla sua minore riprovevolezza complessiva.

Nei casi in cui la legge tace, tuttavia, occorre disciplinare il reato continuato come un solo reato o come più reati a seconda che siano più favorevoli le conseguenze derivanti dall’una o dall’altra disciplina.

 Circa il trattamento sanzionatorio, il reato continuato è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata sino al triplo (art. 81 co. 1). Essa, comunque, non può superare quella che sarebbe applicabile in base al cumulo materiale (co. 3). Relativamente al trattamento sanzionatorio, tuttavia, si presentano due problematiche:

  • come individuare la violazione più grave, essendo controverso se debba intendersi:
    • quella più grave in astratto, con riferimento cioè alla pena edittale più grave, qualitativamente o quantitativamente, e agli elementi incidenti sulla sua gravità.
    • quella più grave in concreto, con riferimento alla pena concretamente applicabile, valutati tutti gli indici dell’art. 133 e tutte le circostanze.
    • se e come effettuare il cumulo giuridico ai reati continuati puniti con pene eterogenee (es. reclusione e arresto, multa e ammenda, pene detentive e pene pecuniarie), stante la duplice esigenza di salvaguardare il più benevolo trattamento sanzionatorio del reato continuato e di rispettare il principio di legalità della pena.

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