L’incapacità naturale
A differenza dell’incapacità d’agire (incapacità legale) l’incapacità naturale, che deve essere dimostrata, consiste nell’inidoneità dell’individuo a intendere o volere, incapacità che può colpire per fatti transitori o permanenti da quali derivi, in ogni caso, un disordine psichico che tolga tale capacità.
Al fine di tutelare gli incapaci l’ordinamento dispone che i contratti conclusi da tali individui siano annullabili se si prova, oltre allo stato di incapacità, anche che l’altra parte era in mala fede e che l’atto ha arrecato un pregiudizio all’incapace (art. 428).
Quando l’incapacità è grave e permanente si può far ricorso a due diversi procedimenti per pronunciare l’interdizione o l’inabilitazione.
L’interdizione (simile alla situazione del minore)
L’interdizione può essere:
- giudiziale: viene pronunciata dai parenti, dal tutore, dal curatore o dal pubblico ministero (art. 414).
- legale: viene predisposta dalla legge come sanzione.
Le due forme di interdizione si equivalgono e comportano la completa incapacità d’agire, tranne che per il fatto che l’interdetto legale può compiere gli atti che incidono sui diritti personali e contrarre matrimonio.
All’interdetto, in ogni caso, provvede un tutore.
Se il giudice ritiene che sussistano i presupposti per revocare l’interdizione, ma che il soggetto non sia completamente in grado di curare i propri interessi, può essere revocata l’interdizione e dichiarata l’inabilitazione, se ve ne sono i presupposti (art. 432).
L’inabilitazione (simile alla situazione del minore emancipato)
L’inabilitazione viene adottata in presenza di ipotesi meno gravi rispetto a quelle dell’interdizione (art. 415) e infatti l’inabilitato ha capacità d’agire superiore a quella dell’interdetto, quali compiere gli atti di ordinaria amministrazione ed essere affiancato da un curatore che induce l’inabilitato al ragionamento, ma che non lo sostituisce completamente come nel caso del tutore.
Gli atti compiuti sia dall’interdetto che dall’inabilitato sono comunque annullabili (art. 427), ma il giudice deve valutare per riconoscere se la causa di interdizione o di inabilitazione continui e, se ritiene che sia venuta meno, informare il pubblico ministero (art. 429).